VERSO IL 2021

Hanno affondato il centrosinistra ora lo tengono sotto schiaffo

Con lo strappo del 2016 la sinistra ha contribuito alla sconfitta di Fassino, arrivando a puntellare l'amministrazione grillina di Appendino. Oggi Grimaldi e compagni tornano con i loro diktat minacciando la rottura. Il monito di Curto: "Allora perdemmo tutti"

Settembre 2015. Piero Fassino è ancora incerto se ricandidarsi a Palazzo Civico quando sul quartier generale iniziano ad arrivare i primi siluri. Ed è fuoco amico. A Roma, su impulso di gruppi parlamentari nati da varie scissioni dal Pd, sta per nascere l’ennesima Cosa Rossa, antesignana di quel che poi diventerà Liberi e Uguali. A tradurre in chiave locale quelle tensioni, a Torino, è Marco Grimaldi, da poco eletto a Palazzo Lascaris: “È difficile perseguire sul territorio uno schema che abbiamo abbandonato da tempo in Parlamento, soprattutto laddove si presenteranno dei sindaci così marcatamente renziani come Fassino”. Inizia così l’operazione di sganciamento di un’area che poi si presenterà sotto le insegne di Torino in Comune con l'ex leader Fiom Giorgio Airaudo candidato sindaco e che contribuì a quella “salutare scudisciata” (copyright di Mauro Salizzoni) subita da un centrosinistra diviso a vantaggio di Chiara Appendino.

Tra coloro che di fronte a quelle parole così ultimative furono colti in contropiede ci fu  Michele Curto, capogruppo di Sel in Sala Rossa e compagno di banco per tre anni di Grimaldi. Curto era considerato fino a quel momento la spina nel fianco della coalizione, ma si ritrovò in breve tempo superato a sinistra da chi aveva ormai deciso per la rottura. “Furono giorni duri” ricorda Curto che oggi ha abbandonato la politica attiva e si occupa di cooperazione tra Italia e Cuba. Battezza quell’epilogo “la mia più grande sconfitta, perché ho sempre creduto nella rivoluzione gentile interna al centrosinistra. Per questo mi candidai alle primarie del 2011 e rimasi in maggioranza per tutti e cinque gli anni del mio mandato”.

Curto era reduce dall’occupazione creativa dell’ex caserma di via Asti: dal Comune alla comune, un tragitto neanche troppo ardito per lui che s’era fatto le ossa al Dado di Settimo Torinese. Ma mentre lui immaginava nuovi mondi possibili “Fassino e il Pd si mostrarono sordi”. Via Asti venne considerata la sua ennesima bravata. Di certo c'è che sulla scorta di quell'esperienza le distanze in quell’anemica maggioranza si allargarono ancora di più “e io, che avrei voluto evitare lo strappo, mi ritrovai senza argomenti”.

Esattamente cinque anni fa – era il 13 dicembre 2015 – Fassino annuncia la sua ricandidatura nonostante tutto e ciò non fece che accelerare un processo ormai irreversibile. Gli ultimi contatti servirono solo per certificare che non c’erano le condizioni per un percorso comune. Ma l’alternativa, cioè “la risposta Airaudo era una non risposta, piuttosto una ridotta identitaria” ammette Curto. “Fassino venne battuto e la sinistra divenne ancora più residuale. Alla fine perdemmo tutti”.

Chi non perse fu proprio Grimaldi che da Sel era stato candidato nel listino alle regionali del 2014 e dopo la caduta di Fassino rimase il più alto in grado tra i rappresentanti della neonata Leu nelle istituzioni. Oggi, a distanza di un lustro da quei fatti, tiene di nuovo sotto scacco la coalizione con la minaccia neanche troppo velata di rompere qualora venisse indicato un candidato “divisivo” e incapace di allargare il perimetro del centrosinistra al M5s. Cioè un candidato a lui non gradito, qual è per esempio, Stefano Lo Russo.  

Alla vigilia del ballottaggio del 2016, mentre i cattivi presagi si allungavano su Fassino, il sindaco uscente e il suo entourage tentarono in vari modi di ottenere un’indicazione di voto da Airaudo e dallo stesso Grimaldi che indirizzasse il loro elettorato verso di lui, ma semmai avvenne il contrario con ammiccamenti ad Appendino, la quale aveva incassato l’endorsement, tra gli altri, pure di Matteo Salvini. Intanto Grimaldi continuava a sedere tra i banchi della maggioranza di centrosinistra e Sergio Chiamparino, allora governatore, non andò oltre qualche dichiarazione di circostanza per stigmatizzare una politica dei due forni in cui a bruciarsi era proprio il centrosinistra. Cinque anni dopo, i due si sono ritrovati sulle stesse posizioni nel sostenere prima il rettore Guido Saracco, poi il sottosegretario Andrea Giorgis e, chissà, forse anche Salizzoni nella corsa per il nuovo sindaco di Torino.

Il secondo turno segna il trionfo di Appendino, i flussi elettorali dimostrano che tra gli elettori di Airaudo la maggior parte ha scelto i Cinquestelle. Curto, ai ferri corti con il suo ex padrino politico e deluso da quella vicenda, si allontana definitivamente dalla politica, trasformando i suoi miti giovanili in un lavoro, mentre quella che fu l’anima più partitica e pragmatica di Sel già tesseva una tela che riconduceva a Palazzo Civico. Si racconta che i buoni uffici di Grimaldi con la sindaca portarono in giunta un paio di assessori a lui vicini, che diedero un tocco di rosso alla giunta grillina: Francesca Leon e Marco Giusta, giusto per non fare nomi, ma anche qualcuno che nel frattempo è stato giubilato (Federica Patti). Intelligenza col nemico? Manco per idea, giacché i grillini agli occhi di questi sinistri duri e puri sono tutt’al più compagni che sbagliano.

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