OCCUPAZIONE & LAVORO

Il motore di Torino si è inceppato, dal 2008 persi 32mila posti

L'industria metalmeccanica continua ad arretrare: negli ultimi 12 anni gli occupati sono calati del 27,2 per cento. Particolarmente colpito il settore dell'automotive. Lazzi (Fiom): "Situazione pesante, servono più investimenti"

Il motore economico di Torino è in panne. L’industria metalmeccanica dal 2008 a oggi ha perso oltre 32mila posti di lavoro tra il capoluogo e la sua area metropolitana, con un calo del 27,2 per cento. Una contrazione che fotografa bene l’arretramento di un comparto che è sempre stato trainante per Torino grazie alla Fiat, certo, ma anche al suo indotto che in molti casi non ha retto la nascita di Fca e la necessità di rivolgersi al mercato internazionale in cerca di nuovi committenti.

Il dato emerge dalla ricerca realizzata dalla Fiom torinese: “Il declino della Torino industriale in cifre” è il titolo dello studio presentato oggi dal segretario provinciale Edi Lazzi e condotto su 948 imprese con 13 macro settori analizzati e 274 tipologie di attività produttive rilevati. A pesare particolarmente, neanche a dirlo, è il settore dell’automotive con un calo di 18mila posti di lavoro ma tutti i settori, a parte la logistica, sono in negativo.

“Essendo l’auto il settore che impiega più addetti – ha spiegato Lazzi – con il calo di questo a cascata si ripercuote sul resto delle attività del territorio”. In termini di aziende si è passati da 949 del 2008 a 579 del 2020 con una perdita del 39 per cento. In particolare, la ricerca rileva che ogni 100 posti persi in totale, 57 sono nell’automotive: ogni 100 persi 83 sono nell’indotto e 17 in Fca. “Una situazione pesante” ha osservato il numero uno dei metalmeccanici Fiom del Torinese, “rispetto alla quale non vogliamo rassegnarci. Servono tre soggetti: i lavoratori, che sono quelli che continuano a pagare di più ma che continuano ad avere speranza; le istituzioni, che devono favorire la produzione di auto in Italia e a Torino e creare incentivi su ricerca e sviluppo e gli imprenditori che devono smettere di vivacchiare e ricominciare a fare investimenti”. Per Lazzi “servirebbe un ricambio generazionale: l’età media nelle fabbriche è di oltre 50 anni, bisogna attivare politiche per i giovani”.

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