LOTTA AL COVID

Vaccinazioni a rilento, medici di famiglia ancora in panchina

Dopo il tanto strombazzato accordo, il loro impiego è rimasto sulla carta. "Molti non sono stati nemmeno contattati dalle Asl", denunciano i consiglieri Valle e Rossi. Eppure per la Regione è "l'esercito di sentinelle sul territorio" indispensabile per velocizzare

Quello dei 3.200 medici di famiglia, l’”esercito di sentinelle sul territorio” come lo aveva definito, lo scorso 19 gennaio, il presidente della Regione Alberto Cirio annunciando l’accordo per un loro impiego nella campagna vaccinale, ad oggi è un numero scritto sulla sabbia. Quel giorno, poco più di un mese fa, l’assessore alla Sanità Luigi Icardi non si era risparmiato affermando che “questa battaglia possiamo vincerla solo insieme ai medici di base, che per la vaccinazione antinfluenzale sono stati in grado in meno di due mesi di vaccinare in Piemonte un milione di persone”. 

Vero, ma se per vaccinare negli ambulatori serve il vaccino AstraZeneca e gli ultraottantenni hanno invece bisogno dello Pfizer e del Moderna (che per ragioni di temperatura richiede luoghi diversi) è altrettanto vero che l’accordo prevede che i medici di famiglia “in prima battuta – come era stato detto il giorno della firma – provvederanno alla vaccinazione delle persone in età avanzata, iniziando dagli ultra 80enni, e di quelle non deambulanti già seguite presso il proprio domicilio”. E, dunque, perché questo non avviene se non con alcune eccezioni? Perché molte Asl non hanno ancora contattato i sanitari che hanno dato la loro disponibilità. E quanti sono i professionisti che, su base volontaria, sono pronti a vaccinare o comunque a sovrintendere alle inoculazioni? Domande, a oggi senza risposta. 

Al Dirmei non hanno dati circa l’attuale impiego dei medici di base nei centri vaccinali. Ancora una volta ciascuna azienda sanitaria decide e agisce in maniera autonoma, forse troppo visto che un coordinamento e linee univoche sarebbero oltremodo opportune, tanto più in questa circostanza. “A Torino non risulta l’impiego di medici di famiglia nei centri vaccinali. Per contro non sono pochi quelli tra loro che non si spiegano perché non siano ancora stati contattati dall’Asl”, riferisce il consigliere regionale del Pd Daniele Valle, coordinatore della commissione di indagine sull’emergenza Covid. La stessa situazione si verifica a Novara, come spiega un altro consigliere regionale dem, Domenico Rossi, vicepresidente della commissione Sanità a Palazzo Lascaris che martedì presenterà un question time “per sapere dall’assessore Icardi quanti medici di base sono attualmente impegnati nella vaccinazione, con quale monte orario e perché molte aziende sanitarie non li hanno ancora convocati”. Allo stesso Icardi dall’opposizione verrà chiesta un’informativa urgente “su una questione di estrema importanza – come si sottolinea dai banchi del Pd – visto che ci sono molte dosi nei magazzini, che ne stanno arrivando altre e che è necessario aumentare il numero delle vaccinazioni”.

Oggi tra quelle accantonate e quelle in arrivo le dosi da somministrare in Piemonte dovrebbero superare le 150mila. E logico aspettare la quarta fase, quella che riguarderà tutta la popolazione oltre alle categorie immunizzate in precedenza, per far scendere in campo quell’esercito dei medici di famiglia? E quale sarà il loro impegno? Quanti vaccini dovranno somministrare ogni giorno? L’assessore cita l’esempio dell’antinfluenzale, effettivamente una campagna che ha funzionato. Ma in quell’occasione ogni medico ha vaccinato i suoi assistiti nello studio o a domicilio. Funzionerà così anche per la quarta fase? Nel frattempo non si comprende perché in alcuni territori le vaccinazioni a domicilio contro il Covid siano incominciate addirittura prima che quelle al resto degli over 80 e in altri ancora debbano iniziare. 

Inoltre se uno degli scogli per l’utilizzo dei medici sul territorio era ed è il tipo di vaccino, non appare chiara la ragione per cui chi viene vaccinato oggi con l’AstraZeneca, come il personale scolastico, verrà indirizzato negli ospedali anziché nello studio del proprio medico di base o in centri di vaccinazione dove, insieme agli infermieri, sia presente il sanitario di riferimento.

Un piano, quello che prevede il ricorso ai medici di medicina generale, per il quale la regione ha previsto un impegno si spesa tra i 30 e 40 milioni di euro, calcolando una platea tra i 2 e i 3 milioni di persone tenendo conto dei richiami e un riconoscimento ai sanitari di 6,12 euro per ogni dose somministrata. Ma è un accordo, quello siglato con i sindacati dei medici, che si basa sulla scelta volontaria di ogni singolo professionista se aderire o meno e in che termini in fatto di orari e numero di vaccinazioni.

Molte variabili che, insieme ai diversi atteggiamenti delle Asl già in questa fase della campagna vaccinale, lasciano del tutto aperto l’interrogativo su quanti dei 3.200 dottori prenderanno tra le dita la siringa, per quante ore al giorno e per quanti giorni alla settimana. E, ancora, solo nei loro studi o anche nei centri vaccinali? La decisione di mandare negli ospedali alcune categorie per essere vaccinate e quella di chiedere alla sanità privata di scendere in campo, ottenendo risposta positiva pur in attesa di un protocollo con la regione che sarà discusso da Aiop e Aris martedì in un incontro con il commissario dell’Unità di Crisi Antonio Rinaudo, confermano la necessità non solo di ulteriori centri vaccinali, ma soprattutto di personale. Condizioni indispensabili per dar corpo all'impegno formulato ieri dallo stesso Rinaudo di somministrare almeno la prima dose entro nove mesi tutti i 4 milioni di piemontesi. In attesa di scrivere non sulla sabbia, ma nero su bianco il numero certo dei medici di famiglia e il loro impegno per aumentare le vaccinazioni.

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