Il conto della divisione

La frammentazione della sinistra sembra essere il tema dominante della prossima tornata amministrativa torinese. Scorrendo l’elenco delle candidature già annunciate e quello dei partecipanti alle primarie del centrosinistra si ha un quadro preciso dell’atomizzazione di quel mondo che un tempo era raccolto intorno al Pci e alla sinistra parlamentare, quest’ultima rappresentata soprattutto da Democrazia proletaria: partiti che sembrano appartenere a un’era politica lontana anni luce da quella attuale.

La sindaca Appendino tempo addietro ha auspicato la nascita di un “Fronte progressista”: un appello caduto nel vuoto e, alla luce degli ultimi eventi, di difficile realizzazione.

Le primarie del centrosinistra fotografano le tante anime che si disputano la palma della vittoria. Le componenti ambientaliste, ad esempio, hanno concentrato l’attenzione su Lavolta, mentre quelle ecologiste e del lavoro, un tempo raccolte nella lista civica Torino in Comune, sostengono Tresso. I due candidati (in modo particolare il primo) non hanno innalzato muri davanti all’ipotesi di una possibile alleanza elettorale con il M5s, che a quanto pare potrebbe manifestarsi esclusivamente nelle Circoscrizioni, sul modello sperimentato nel 2001 tra Rifondazione Comunista e Chiamparino. L’ipotesi però mette il movimento pentastellato in una sorta di pericoloso standby, pur non escludendo eventuali soprese dell’ultimo minuto: possibili colpi di scena potenzialmente in grado di minare il percorso accidentato intrapreso dal Pd.

Superato il blocco che orbita intorno al perno del Partito democratico, si incontra il candidato sceso in campo anticipando tutti gli altri (compreso Damilano), ossia il professor Mattei, docente di Diritto. Il programma della sua lista “Futura” è incentrato sulla tutela dei beni comuni, nonché su posizioni che il candidato stesso definisce “oltre le divisioni novecentesche basate sulla contrapposizione Destra-Sinistra”. Il professore inoltre assimila il centrodestra al centrosinistra sotto tutti i punti di vista.

Il professor D’Orsi, studioso di Gramsci, rivendica invece la propria appartenenza ai valori storici della sinistra, ponendosi alla guida di un ampio schieramento, raggruppato nella lista Sinistra in Comune. La sua candidatura raccoglie il consenso di Rifondazione Comunista (altra componente della lista Torino in Comune), del Partito Comunista Italiano, di Torino Solidale, della Lista DeMa, del Fronte popolare, di Sinistra Anticapitalista e di Potere al Popolo. Alleanza sensibile ai temi del lavoro, della tutela dei diritti sociali e dell’ambiente, ma a cui non hanno aderito le rappresentanze locali di Ferrando (Partito Comunista dei Lavoratori) e Rizzo (Partito Comunista).

Il Partito Comunista sostiene infatti la candidata Di Cristina, in corsa per il Partito Comunista e la lista Torino Futura. L’aspirante prima cittadina è un’insegnante che da cinque anni vive a Torino, e anch’essa richiama l’importanza del lavoro puntando al contempo il dito contro la povertà diffusa, di cui afferma siano drammatica testimonianza i tanti che dormono sotto i portici del centro.

La sensazione è quella che prima dell’autunno si presentino altre liste con i propri candidati sindaco: aggregazioni naturalmente appartenenti alla galassia della sinistra sociale. Il fronte progressista sembra davvero una lontana chimera, mentre agli elettori (spesso anche ai militanti) sfuggono le ragioni alla base di queste innumerevoli divisioni: ai loro occhi molti candidati sindaco appaiono comunque accomunati da ideali e intenti condivisi.

Alla fine faranno la differenza i quartieri: saranno gli abitanti di Barriera e della popolosa Torino Sud, Mirafiori-Santa Rita e San Paolo a determinare il nome di chi guiderà in futuro la città. Nelle Circoscrizioni della periferia è scattato però un meccanismo che tende a sovvertire quel che è stato sinora. Operai e pensionati, un tempo sostenitori di Berlinguer, ora si recano ai banchetti della Lega nella speranza di scattare un selfie con Damilano: l’imprenditore benestante diventa paradossalmente il riferimento dei ceti più disagiati, e forse grazie ai tagli di bilancio di questi ultimi decenni i più abbandonati a se stessi.

Quasi nessuno nel campo progressista dimostra lucidità immaginando cosa potrebbe accadere in autunno, e neppure nel valutare le conseguenze politico-sociali di una destra al governo cittadino: alleanza in cui questa volta non primeggerebbe Forza Italia sulle realtà nazional sovraniste (e spesso nostalgiche). Il possibile vantaggio di Damilano inoltre è reso tale non solo dal preciso cronoprogramma che ha adottato, ma anche da un intuibile fenomeno astensionistico da parte del popolo “giallo-rosso”.

Appare all’orizzonte un profondo scollamento tra i quartieri maggiormente colpiti dalla crisi in atto e le forze politiche che in passato hanno tutelato quei territori: una rivoluzione dagli effetti di lunga durata nel tempo, poiché segno di cambiamenti difficili da invertire una volta avviati. Perdere Torino significherebbe per sinistra e centrosinistra mettere una croce anche su un ritorno al governo della Regione e della Città Metropolitana.

Questa volta le divisioni potrebbero presentare alla cinistra un conto davvero salato

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