SACRO & PROFANO

Il ddl Zan è già legge. Per la Chiesa

Il caso del professore di religione trasferito per aver espresso critiche sulla norma in discussione al Senato. Il teologo di riferimento della curia torinese, don Albarello, plaude alla stretta di Papa Francesco sulla Messa antica: "fenomeno degenerativo"

Il disegno di legge Zan non è ancora diventato norma dello Stato ma è come se già lo fosse, anche per la Chiesa. Piergiorgio Dellagiulia, 46 anni, insegnante di religione cattolica presso l’Istituto statale Velso Mucci di Bra aveva formulato su Facebook rilievi critici in merito ad alcuni articoli del ddl tutt’ora in discussione al Senato, peraltro in perfetta adesione agli insegnamenti della Chiesa e a quanto espresso dalla Santa Sede con la nota diplomatica al governo italiano del 17 giugno scorso. Naturalmente, il povero professore è stato sommerso dalle critiche e dagli improperi dei simpatizzanti Lgbt e da tutti i  locali esponenti del “love is love”. A cui si è aggiunta la inaspettata sconfessione del preside il quale, a nome dell’istituto, ha preso apertamente e pubblicamente le distanze dalle posizione del suo insegnante. Sembrava dovesse finire tutto lì, ma l’8 luglio scorso il professor Dellagiulia è stato convocato in curia a Torino dal responsabile diocesano dell’ufficio scuola don Roberto Gottardo. Questi è, o era, un prete ciellino – il nuovo corso impresso a Cl da don Julián Carron ha fatto diventare il movimento fondato da don Luigi Giussani la copia sbiadita dell’Azione Cattolica – inoltre, in qualità di presidente della commissione diocesana per la Sindone,  è anche noto per le cautele e gli inviti ai preti e ai fedeli affinché non esprimano troppo la devozione e la venerazione al Sacro Lino, dovendosi limitare a vedere in esso, non il sudario che avvolse  il corpo di Cristo nel sepolcro, ma il simbolo della sofferenza di tutti gli uomini. Il risultato dell’incontro è stato che, accampando la scusa ufficiale del diminuito numero di allievi, il professore sarà trasferito. Così che, in questo caso, la Chiesa non risulterebbe più, come lamentava il cardinale Carlo Maria Martini, in ritardo sui tempi della società, ma addirittura in anticipo. E sono in molti a pensare che, per guadagnare il plauso del mondo, lo sarà sempre di più. I vescovi piemontesi, infatti, sul tema del disegno di legge Zan, tacciono e taceranno, condannandosi all’insignificanza, cosa che hanno capito molto bene i politici che non si curano più per nulla dei loro scontati e politicamente corretti pronunciamenti.

Pur  non essendo questa   la sede per una discussione teologica o liturgica,  ma soltanto un piccolo  osservatorio sulle novità ecclesiali piemontesi, lette  da un punto di vista non conformista e controcorrente,  secondo la linea editoriale dello Spiffero, poiché nulla dicono in proposito gli altri giornali, alcuni lettori hanno chiesto al direttore di ritornare sul recente motu proprio Traditionis Custodes di Papa Francesco che abroga Summorum pontificum, del 7 luglio 2007 con il quale il suo predecessore, Benedetto XVI, rendeva libera, sia pure a certe condizioni, la celebrazione della Messa antica. Uno dei primi ad esprimere pubblicamente la propria soddisfazione per la misura restrittiva, anzi repressiva, è stato, sulla sua pagina social, don Duilio Albarello, teologo di riferimento dell’assemblea diocesana di Torino, tutt’ora in pieno svolgimento. Dopo aver definito la celebrazione della Messa antica come un «fenomeno degenerativo» egli dà per scontato che i fedeli che vi partecipano siano – cosa tutta da dimostrare e comunque falsa – l’espressione di una opposizione sistematica al Concilio Vaticano II. Don Albarello pone però un problema reale che dovrebbe interrogare il suo campo – spesso inquinato dall’ideologia – e cioè fino a che punto le «diversità» e le «sensibilità» siano legittimate ad avere diritto di cittadinanza nel corpo ecclesiale, ma conclude poi dicendo che il motu proprio del Papa toglie ogni dubbio in proposito per cui si tratta solo «di ascoltare ciò che oggi lo Spirito dice alla Chiesa». Con ciò facendo intendere che soltanto i progressisti posseggano il monopolio dello Spirito Santo e sappiano esattamente in quale direzione si indirizzi il suo soffio. Poiché però lo Spirito ubi vult spirat, pare che in questi ultimi tempi il vento della terza persona della Santissima Trinità non si volga esattamente nei loro confronti. In questo caso, come disse Bertold Brecht di fronte alle rivolte operaie di Berlino Est nel 1953, «Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo», cioè abolire il popolo.

Ed è ciò che è avvenuto esattamente con Traditionis Custodes dove si prendono, fra le altre, due misure sorprendenti. La prima è che nelle chiese parrocchiali dove, come già avviene, si possono tenere concerti, spettacoli, dibattiti, conferenze, pregare con ortodossi, protestanti, ebrei e musulmani non si deve assolutamente celebrare la Messa antica. La seconda è che i gruppi di fedeli legati a essa e previsti da Summorum Pontificum, non si potranno  più costituire e questo è quanto di più anticonciliare vi possa essere, tenuto conto che tali gruppi si professano e sono cattolici e non mettono in discussione alcun articolo di fede, a differenza di movimenti ultraprogressisti che, come in Germania, vengono invitati addirittura ai Sinodi. E questo proprio nell’epoca in cui più si parla di sinodalità e ruolo del laicato. Ci si può cioè associare per l’accompagnamento spirituale dei cattolici omosessuali, ma altrettanto non possono fare i cattolici di sensibilità «tradizionale» che, rinchiusi nello zoo, devono soltanto essere «rieducati». Fratelli tutti dunque, ma alcuni in libertà vigilata, limitata e visto provvisorio. Come disse più di trent’anni fa l’allora cardinale Joseph Ratzinger: «Di un Concilio antidogmatico è stato fatto un superdogma» oppure un «evento», ovvero una cesura interpretabile a piacere per cui le «sensibilità» tradizionali vanno cacciate e le altre accolte. Naturalmente, una tale Chiesa appare assai poco credibile e porterà ad ulteriori divisioni.  Don Albarello dice che sulla questione della Messa antica si sono cimentati, con opposte visioni, ben tre papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a favore, Francesco contro. Ne dimentica però uno e cioè Paolo VI. Il pontefice che nel 1969 promulgò il Messale del nuovo rito portante il suo nome, fu lo stesso Papa a concedere il primo indulto, che aprì poi la strada agli altri, per la celebrazione della Messa antica. Ciò avvenne già nel 1971, aderendo egli alla richiesta di uno stuolo di illustri esponenti del mondo culturale inglese, fra cui Agatha Christie che diede il nome all’indulto. Seguirono gli appelli in difesa della Messa antica di artisti del calibro di Jorge Luis Borges, Giorgio De Chirico, W.H.Auden, i registi Bresson e Dreyer, Julien Green, Jacques Maritain, Eugenio Montale, Francois Mauriac, Salvatore Quasimodo, Maria Zambrano, Gabriel Marcel, Gianfranco Contini, Giorgio Bassani, Mario Luzi, Guido Piovene, Andres Segovia, Graham Grene. Ma, si sa, Paolo VI era un intellettuale e possedeva, come tutti gli intellettuali, una «sensibilità».

Nel mese di agosto Eusebio Episcopo andrà ad aquas e, salvo improvvisi eventi degni di nota, ritornerà  a settembre.   

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