LA CONTA FINALE

C'è in ballo(ttaggio) Torino

Alla fine di una campagna iniziata sottotono è emerso il profilo dei due candidati e la loro idea di città. Damilano gioca tutto sulla sua persona di imprenditore di successo, Lo Russo punta sulla credibilità di amministratore in grado di ricucire il tessuto sociale

Ultimo atto. Torino sceglie il prossimo sindaco e comunque vada, questo voto rappresenta un punto di rottura con il passato. Che vinca Stefano Lo Russo o Paolo Damilano nessuno dei due percorrerà il mandato nel solco della continuità, né con le precedenti amministrazioni di centrosinistra né tantomeno con la scombiccherata maggioranza grillina. L’imprenditore sogna l’impresa che prima di lui è sfuggita per un pugno di voti a Raffaele Costa e a Roberto Rosso: vuole portare il centrodestra a governare la città un tempo capitale dell’industria (e della classe operaia) e che oggi sembra aver smarrito la sua vocazione. Sa cosa non è più, non cosa sarà; sospesa in una transizione che dura da quasi trent’anni. Damilano chiede un voto “per non tornare indietro”, Lo Russo “per andare avanti”. Non è la stessa cosa.

Cinque punti separano i due contendenti, circa 15mila voti. Davanti c’è il professore del Politecnico, un po’ “secchione” (copyright di Enrico Letta), ma “di quelli che passa il compito al compagno” gli è andato in soccorso Sergio Chiamparino. A inseguire l’imprenditore glamour, un piacione da aperitivo (copyright del Chiampa) che ha dato un volto e un progetto civico e presentabile a una destra che ringhia. Conta sulle periferie l’uomo più vicino ai salotti della Torino borghese, mentre punta al centro e ai quartieri del ceto medio il prof che viene da Santa Rita e che nel cognome conserva le sue mezze origini di immigrato.

Faceva l’arbitro Lo Russo (“perché a giocare ero scarso”) e in questi cinque anni ha fischiato ogni fallo a Chiara Appendino con la quale si è instaurata una sincera quanto reciproca antipatia che ha portato la sindaca a far capire in ogni modo che al ballottaggio voterà per Damilano e non sarà la sola nel Movimento 5 stelle. A farle da contraltare c’è Valentina Sganga, la candidata sindaca che, assieme all’ala movimentista sta con Lo Russo.  

In questi mesi Lo Russo ha giocato tutto sulla mobilitazione dal basso. Giorno dopo giorno il Pd ha riscoperto il senso (e l’orgoglio) della militanza. Banchetti e volantinaggi in ogni quartiere della città, centinaia le richieste di occupazione del suolo pubblico avanzate dal comitato del candidato di centrosinistra, mille i suoi volontari. Dai parlamentari – anche quelli alla vigilia più scettici sul suo nome – al semplice iscritto. Non solo le sezioni cittadine, anche quelle dei comuni dell’hinterland hanno raggiunto i quartieri al confine per sostenere un candidato che ha saputo mettere in moto una propaganda garbata quanto capillare. Damilano, per contro, ha puntato su un nome che già era un brand, su relazioni consolidate, sulla credibilità di un imprenditore che ha saputo conquistare gli States con i suoi prodotti di eccellenza e ora promette di portare Torino nel mondo. Come un piccolo padrone delle Ferriere ha svelato un tratto di paternalismo padronale d’antan. Lega e Fratelli d’Italia nelle periferie a curare la bassa macelleria, lui il frontman che rassicura l'establishment.  

Per recuperare lo svantaggio accumulato al primo turno, Damilano ha alzato i toni, attaccato Lo Russo sui debiti accumulati dalle giunte di centrosinistra e si è persino avventurato in terreni sdrucciolevoli quando ha proposto di quotare in Borsa Iren, che a Piazza Affari ci sta da più di dieci anni, o di usare i fondi del Pnrr per il Palazzo del Lavoro, cosa non possibile. E infine una mossa che ai più è apparsa come quella della disperazione: il biglietto del bus a un euro, che fa il paio con la promessa di ricollocare “grazie ai miei amici imprenditori” tutti gli operai dell’ex Embraco rimasti in cassa integrazione. Insomma, non ci sarà il mare ma sembra essere tornati alla Napoli di Achille Lauro (non quello che canta) tra pacchi di pasta e scarpe spaiate.

Per contro Lo Russo non è riuscito a piazzare l’allungo decisivo, proseguendo regolare lungo la sua strada. Di tanto in tanto si è fermato e ha aperto la seggiolina per confrontarsi coi suoi concittadini. Non sarà empatico come certi suoi predecessori, non è un arruffapopolo e così si è ritagliato una campagna su misura, garbata appunto, a tu per tu coi torinesi. Letta l’ha incoronato “leader nazionale”, lui per ora si gode la rivincita nei confronti dei tanti che non ci avrebbero scommesso un soldo bucato.

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