SACRO & PROFANO

A Grugliasco il "prete modello" che studia da vescovo

Parroco di S. Cassiano e S. Giacomo nella cintura Ovest di Torino, don Resegotti è uno dei personaggi più in vista del presbiterio diocesano. Apprezzato per il suo attivismo risulta spesso divisivo. Ma i "boariniani" preconizzano per lui lo zucchetto

Nel libro La fede dei preti del sociologo Giuseppe Bonazzi – prezioso vademecum che traccia indicativi profili del clero torinese – uno dei ritratti più empatici è sicuramente quello di don Vittorino, un prete «di successo» della cintura ovest di Torino, il cui impegno viene descritto con evidente e non celato favore. Sia per la moltitudine delle opere educative e sociali alle quali si dedica e che – con imprenditività – ha costruito nel tempo, poiché «si offre una quantità di occasione formative e ludiche dove gli stessi fruitori sono direttamente coinvolte nella loro riuscita», sia perché tale modello sarebbe coerente e in piena sintonia con la figura di prete prediletta da Papa Francesco che «insiste sugli aspetti etico-caritativi più che su quelli dogmatico-sacrali del messaggio cristiano». Anche le risposte date da don Vittorino sui grandi temi dell’inchiesta condotta dallo studioso, e che oggi dividono la Chiesa, rientrano nel mainstream dominante e sarebbero coerenti con il suo impegno: «Una visione non miracolistica dell’azione divina (Dio non schiaccia i bottoni, i miracoli raccontati nei vangeli hanno un valore soprattutto simbolico) e svolge un’azione pastorale orientata soprattutto alla misericordia, all’indulgenza, al perdono». 

Già arrivando in parrocchia, l’ambiente che Bonazzi descrive non è quello della polverosa canonica, ma ricorda piuttosto «un efficiente centro di assistenza sociale». Poi appare infine lui, don Vittorino, «ancora giovane, alto asciutto, elegante, con l’aria di un manager che tiene al proprio fisico» e che lo introduce in una «vera e propria impresa di aggregazione sociale, con un impatto determinante sulla qualità della vita e le dinamiche della comunità: iniziative caritative, sportive, formative a vasto raggio e soprattutto ispirate ai più moderni orientamenti pedagogici». Insomma, quello di don Vittorino, costituirebbe o ambirebbe a costituire un «modello» per tutto il clero torinese.

Dal ritratto di Bonazzi al quale un amico disse – prima di incontrarlo – che avrebbe conosciuto un parroco «molto più importante del sindaco», tutti compresero fin da subito che don Vittorino, altri non era se non don Paolo Resegotti, classe 1962, ordinato nel 1988, parroco delle due parrocchie di Grugliasco (S. Cassiano e S. Giacomo), moderatore dell’unità pastorale e addetto alla segreteria del consiglio presbiterale. Egli è uno dei personaggi più emblematici del presbiterio diocesano, uno degli esponenti di spicco dell’accolita “boariniana”, quello più impegnato sul piano pastorale. Le parrocchie di Grugliasco rappresentano, infatti, una specie di laboratorio dove il modello elaborato dal gruppo trova la sua più compiuta realizzazione, dove si sperimenta una catechesi e uno stile di comunità e di Chiesa spesso autonomi – quando non dissimili – rispetto a quelli che improntano la diocesi. Non per nulla, i rapporti fra l’arcivescovo Cesare Nosiglia e Resegotti – come per la verità con buona parte dei “boariniani” – non sono mai stati idilliaci, ma sempre caratterizzati da una certa diffidenza, anche perché sul dinamico parroco di Grugliasco, non sono mancate e non mancano le critiche. Nel dialogo con Bonazzi, il parroco di Grugliasco afferma di non guardare al passato e che bisogna «passare dal curato che cura i fedeli al popolo di Dio dove tutti i battezzati sono coinvolti. Nel laicato c’è una distorsione, se non ci sono i preti ci sono i diaconi e se non ci sono i diaconi ci sono i catechisti. È una gerarchia discendente che non condivido. Solo se la parrocchia è tanto mia quanto tua si apre il discorso su chi deve prendere le responsabilità».

In realtà, tutti sanno che don Paolo tra tratti dell’autocrate, nulla sfugge al suo controllo, le iniziative e i piani pastorali e organizzativi vengono sì discussi, ma infine deve prevalere la sua inappellabile decisone e chi non si adegua o fa la fronda – come singolo o come gruppo – viene semplicemente marginalizzato come inesistente. Il metodo è quello di un “centralismo democratico” sub specie clericalis. Per alcuni, egli più che unitivo è divisivo della comunità e ricorda – mutate ovviamente le forme – proprio i vecchi parroci di un tempo, quando per rimuoverli era necessario un processo canonico. Non per nulla la sua nomea fra il clero è quella di “Papa Re”, avendo anche fra i suoi collaboratori parrocchiali addirittura un vescovo emerito nella persona di monsignor Carlo Ellena, già missionario in Brasile. La parrocchia di don Resegotti è, generalmente, anche il luogo dei frequenti e ormai tradizionali ritrovi di quel  gruppo di comando ristretto – che risponde più a se stesso che al vescovo – dove, oltre alla preghiera e alla riflessione, si elaborano  strategie e proposte che si cerca di far passare – non sempre con successo – nei vari consigli della diocesi. Da notare che i seminaristi vengono sempre inviati a compiere l’attività pastorale a Grugliasco la cui parrocchia è per eccellenza un «campo di educazione», soprattutto verso quei giovani aspiranti preti o preti che potessero aver coltivato un’idea di sacerdozio non conformista e non allineata al modello corrente.

Potrebbe dunque, don Resegotti, con così tante benemerenze, essere preconizzato vescovo? Dai suoi sodali sicuramente, tuttavia, occorre ricordare che i “boariniani” un vescovo in effetti già ce l’hanno. Si tratta di monsignor Marco Prastaro, classe 1962, ordinato il 22 marzo 1988, parroco e poi sacerdote fidei donum in Kenya fino al 2011 quando rientra in diocesi diventando vicario episcopale per poi, nel 2018, essere ordinato vescovo di Asti. Satis erit?

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