EMERGENZA COVID

Monoclonali nei Pronto Soccorso
"Così ridurremo i ricoveri Covid"

Il Piemonte continua ad avere frigoriferi pieni di anticorpi inutilizzati. In preparazione un protocollo per estendere l'uso in tutti gli ospedali, ma anche a domicilio con le Usca. Oggi riunione del gruppo di lavoro. I ripetuti appelli dell'infettivologo Di Perri

Somministrazione degli anticorpi monoclonali al momento dell’accesso al Pronto Soccorso di tutti gli ospedali, ma addirittura a domicilio su richiesta del medico di famiglia, sempre nel pieno rispetto delle linee guida indicate dall’Aifa e dalle altre autorità sanitarie.La bozza di protocollo da attuare in Piemonte, nel più breve tempo possibile, potrebbe essere messa nero su bianco già oggi nel corso della riunione del gruppo di lavoro per le terapie domiciliari coordinato da Claudio Sasso su incarico dell’assessore Luigi Icardi

Proprio da quest’ultimo è arrivata la sollecitazione a un rapido cambio di rotta che va nella direzione più volte sollecitata dal professor Giovanni Di Perri per un utilizzo decisamente più elevato e diffuso di questi farmaci la sui efficacia, nei primissimi giorni dall’insorgenza dei sintomi, è dimostrata nei numeri e attestata dagli infettivologi. Da mesi, ormai, Di Perri, primario di Malattie Infettive dell’Amedeo di Savoia, denuncia tra rabbia e rassegnazione come “i frigoriferi degli ospedali sono pieni di monoclonali. Nel massimo picco della pandemia, con 60mila ricoveri in Piemonte, abbiamo usato solo 350 dosi di monoclonali. Con un uso più intenso avremmo potuto risparmiare almeno 15mila ospedalizzazioni e chissà quanti morti si sarebbero potuti evitare”.

Gli ultimi dati resi disponibili dall’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, purtroppo confermano una mancanza di inversione di tendenza: nel report riferito alla settimana dall’8 al 14 ottobre le prescrizioni di anticorpi monoclonali per milione di abitanti in Piemonte si fermano a 2,9 rispetto alle 23,7 del Veneto, regione leader della classifica, ma anche lontano dalle 14,43 somministrazioni per milione di residenti della Liguria. Peggio del Piemonte fanno solo la Basilicata, la Calabria, la Sardegna, ma anche la Lombardia oltre al Molise e alla Provincia di Bolzano finita da pochi giorni in zona gialla. In numeri assoluti, nella settimana presa in esame il Piemonte ha somministrato solo 12 dosi di monoclonali, esattamente un decimo di quelle del Veneto che ha un numero di abitanti superiore di poche centinaia di migliaia.  

Per superare un’inspiegabile sottoutilizzo di questa terapia (una flebo, meno di un’ora con l’ago nel braccio, un breve periodo di osservazione e poi il ritorno a casa) nei mesi scorsi il direttore del Dirmei Emilpaolo Manno aveva inviato una nota alla Asl in cui si dava la possibilità ai vertici aziendali di predisporre ulteriori centri per la somministrazione dei monoclonali, aumentando così l’offerta limitata ai reparti di malattie infettive. Possibilità che non risulta sia stata utilizzata. Da qui, oltre alla non trascurabile necessità di fronteggiare un costante aumento dei casi, la decisione di predisporre strumenti in grado di ridurre al minimo gli ostacoli per l’uso dei farmaci che hanno come la rapidità di impiego il requisito fondamentale per la loro efficacia. Renderli disponibili in ogni Pronto Soccorso non solo ridurrebbe moltissimo i tempi, ma eviterebbe anche spostamenti protetti e quindi spesso complicati di pazienti positivi verso i grandi ospedali, gli unici dove oggi è possibile sottoporsi alla terapia, che dura circa un’ora, il tempo di una flebo e un breve periodo di osservazione.

Il protocollo che, come spiega Icardi “grazie al lavoro del dottor Sasso e del suo gruppo permetterà di dare risposte adeguate non solo ai pazienti Covid, ma anche a tutti gli altri che potranno avere maggiori disponibilità negli ospedali”, oltre che nei Pronto Soccorso dovrebbe prevedere l’impiego di monoclonali anche a domicilio. In questo caso sarà ancor più determinante il ruolo dei medici di famiglia per la tempestiva richiesta, in base ai criteri fissati dalle regole nazionali (età, patologie esistenti e altri parametri), della somministrazione del farmaco verosimilmente affidata alle Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale che dalle prime fasi della pandemia garantiscono l’assistenza e le cure domiciliari per i malati di Covid. 

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