MIGRAZIONI SANITARIE

"Non venite a curarvi in Piemonte".
La Regione limita la mobilità attiva

Nel 2019 pagati alla sanità lombarda 88 milioni. Ma in corso Regina c'è chi vuole contingentare le prestazioni del privato accreditato. Perla (Aiop): "Senza penalizzare i piemontesi, bisogna attrarre pazienti, non bloccarli". Icardi: "Serve accordo con le Regioni"

È come se il Piemonte avesse pagato, solo in un anno, un ospedale di medie dimensioni alla Lombardia. Questo per dare l’idea di quanto pesi la mobilità passiva, ovvero le cure prestate in altra regione, sulla sanità piemontese da anni pesante debitrice e, purtroppo, assai poco creditrice.

Gli 88 milioni con il segno meno davanti riguardano il 2019, ultimo anno prima del Covid che stravolgerà tutto, ma che pare non impedire ai dirigenti dell’assessorato di prendere il secondo anno della pandemia come riferimento per la contrattazione con la sanità privata e, tra le molte questioni, mettere sul tavolo che verrà nuovamente apparecchiato oggi in corso Regina con il direttore Mario Minola, il resposnabile del controllo di gestione Antonino Ruggeri e altri dirigenti anche un limite alla mobilità attiva. Quella che il Piemonte insegue, senza risultati apprezzabili, da anni.

Gli squilli di tromba che hanno accompagnato qualche settimana fa l’annuncio della chiusura in pareggio, tra mille abracadabra, del bilancio sanitario del 2021 sono parsi a dir poco stonati anche e soprattutto quando hanno salutato la riduzione delle mobilità passiva. Bella forza, per un paio d’anni tra vari lockdown, ospedali blindati e alto rischio di contagi quanti si sono potuti spostare anche solo tra una città e l’altra del Piemonte? Figurarsi fuori dai confini. Non ci vogliono esperti per dire che l’ultimo dato reale è, appunto quello del 2019. Pesantemente negativo, come del resto i precedenti. Nel 2017, per esempio, il Piemonte nella classifica stilata dalla Fondazione Gimbe viene collocato tra le regioni a saldo negativo moderato (tra mobilità attiva e passiva) con una perdita di 51 milioni.

Eppure di fronte a un ormai atavico problema la cui soluzione è stata annunciata da ogni giunta regionale da venti e più anni a questa parte senza, adesso si intende porre un limite a curare pazienti che arrivano da altre regioni, soprattutto dalla Liguria che resta il principale bacino di richieste per la medicina piemontese di eccellenza. “L’intenzione della Regione è di fissare il livello massimo consentito prendendo come riferimento il 2021”, spiega Giancarlo Perla, presidente di Aiop Piemonte, l’associazione che riunisce le strutture private non religiose. 

Nel budget stabilito dalla Regione per il privato accreditato è contenuta sia la mobilità all’interno della regione, sia quella – di cui si discute – extraregionale. Il non detto è che gli uffici della Regione, per far quadrare i conti e arginare la mobilità passiva, vogliono indurre le cliniche e le altre strutture private a privilegiare prestazioni per la popolazione piemontese. “E noi siamo d’accordo, la precedenza deve essere per i piemontesi – osserva Perla – ma non si comprende perché porre un limite all’arrivo da fuori regione di pazienti le cui cure ovviamente vengono rimborsate al Piemonte. Mettendo una soglia si frena molto se non si impedisce del tutto un aumento della mobilità attiva, che il Piemonte da anni cerca di ottenere”. 

L’obiezione del privato poggia proprio su quel saldo negativo dal quale non si esce ormai da molti anni: “Se il Piemonte fosse in equilibrio, si comprenderebbe anche la scelta di non superare il budget, ma di fronte a un pesante segno negativo e mentre si fa fatica a diminuire la migrazione, specie sul fronte orientale della regione, verso la Lombardia c’è, invece, bisogno di attrarre pazienti, riducendo il saldo negativo”.

Un incremento delle cure prestate a residenti al di fuori del Piemonte, rispettando la priorità per chi abita nella regione e senza limitare gli interventi per ridurre le liste d’attesa, avrebbe una ripercussione positiva non solo sul bilancio, peserebbe positivamente sulla classifica dei Lea, i livelli essenziali di assistenza, ma produrrebbe un generale miglioramento del sistema sanitario piemontese senza distinzione tra pubblico e privato. 

“Specie nelle zone di confine la mobilità passiva è un problema pesante da affrontare e risolvere”, ammette l’assessore Luigi Icardi, di ritorno da Tortona, una di quelle zone da cui si fanno pochi chilometri e ci si rivolge alla sanità lombarda. “Credo che la strada maestra sia quella che passa tra accordi tra singole Regioni”, spiega Icardi che pone l’attenzione anche su un altro tema: “Il privato in Piemonte rappresenta circa il 5% della produzione sanitaria, in Lombardia questo dato va moltiplicato per dieci e i budget sono fermi al 2011. Così accade che gruppi per i quali il budget in Piemonte si esaurisce in sei mesi, tutto il resto delle prestazioni lo dirottano verso le loro strutture lombarde”. E di fronte pure a questo dumping, in corso Regina c’è chi vuole abbassare la sbarra al confine bloccando l’accesso a chi dalla Liguria, ma anche dalla Valle d’Aosta o dalle regioni del Sud per alcuni interventi di alta specialità vuole venire a farsi curare nelle cliniche accreditate del Piemonte.

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