POLITICA & AMBIENTE

Il termovalorizzatore incenerisce le (eco)balle e ora si pensa a un "raddoppio"

Entrato nel decimo anno di attività l'impianto del Gerbido non ha avuto alcun impatto negativo sulla qualità dell'aria né sulla salute dei cittadini. Nel 2021 ha generato utili per 20 milioni e non ha impedito l'aumento della differenziata. Ma un solo sito in Piemonte non basta

Lo scorso aprile è entrato ufficialmente nel suo decimo anno di età il termovalorizzatore di Torino. E, sorpresa, dal 2013 – anno in cui è iniziata la fase di test – l’impatto dell’impianto sulla salute dei cittadini che vivono nelle vicinanze è “pressoché nullo”. Ad affermarlo, proprio nei giorni in cui a Roma il sindaco Roberto Gualtieri ha avviato il dibattito sulla realizzazione di un inceneritore, è il direttore generale dell’Arpa Angelo Robotto. Sembrano lontani i giorni in cui comitati e associazioni manifestavano per le strade della borgata Gerbido contro quel “mostro” che avrebbe portato solo malattie e morte. Nulla di tutto ciò è avvenuto, anzi “paradossalmente la qualità dell’aria nei pressi del termovalorizzatore è migliore di quella nel centro di Torino” assicura Robotto. Questo certo non vuol dire che il processo d’incenerimento purifica l’aria ma che è un elemento d’inquinamento marginale rispetto ad altri, come per esempio il traffico di auto e bus.  

Qualche numero: nell’anno appena trascorso la media delle medie giornaliere rilevate dalla centralina “Beinasco Trm”, per quanto riguarda il biossido di azoto, una delle particelle da tenere d’occhio quando si parla di incenerimento, è stata di 27 microgrammi al metro cubo. Alla Consolata, vicino al centro di Torino, è di 43. Un rapporto simile a quello del Pm10 e di tutte le altre sostanze sottoposte a monitoraggio quotidiano dall’Arpa. “Secondo le nostre simulazioni matematiche l’incidenza del termovalorizzatore sulla qualità dell’aria è del tutto trascurabile” prosegue Robotto. Basti pensare che dopo la prima fase di test, durata fino al maggio 2014, “non sono mai stati osservati scostamenti nelle emissioni dell’impianto rispetto alle soglie”.

I controlli non sono mai cessati “e proseguiranno, quotidiani, finché resterà attivo l’impianto” assicura il direttore generale di Arpa. Nei giorni scorsi Trm ha posizionato due alveari nell’area del termovalorizzatore con 120mila api che saranno responsabili di un biomonitoraggio sulla qualità dell’aria e produrranno circa 20 chili di miele all’anno. Parallelamente è stato eseguito a partire dal 2013 anche un programma di monitoraggio della salute dei residenti nell’area dell’inceneritore rispetto a quelli scelti casualmente in altre zone dell’area metropolitana di Torino, tenendo conto degli accessi al pronto soccorso e delle malattie sviluppate e anche in questo caso non è emerso alcuno scostamento tra gli uni e gli altri.

Nel 2016, appena nominato dall’allora sindaca Chiara Appendino al vertice di Trm, la società che gestisce l’impianto, l’ingegnere Renato Boero affermò che l’inceneritore inquinava né più né meno di un “biscottificio”, scatenando la canea dei consiglieri pentastellati che anche sull’onda di quella battaglia erano approdati in Sala Rossa. Lo stesso Boero, poi sarebbe stato designato, sempre da Appendino, per la presidenza di Iren, la multiutility che controlla Trm con l’80 per cento delle quote.  

Ogni anno l'impianto digerisce più di 450mila tonnellate di rifiuti urbani provenienti in gran parte dall'area metropolitana di Torino, ma non solo. E questo processo ha consentito di produrre nei suoi primi nove anni di vita 2,7 milioni di Megawatt-ora di energia elettrica che ha immesso nella rete cittadina. Nel 2020, ultimo bilancio certificato, il fatturato di Trm è stato di 73,4 milioni di euro di cui il 59% derivanti dallo smaltimento, il 23,7% dall’emissione di certificati verdi e il 13,5% dalla vendita proprio di energia elettrica. L’utile netto è stato di oltre 20 milioni di euro, soldi che sono in parte rientrati nelle casse del Comune di Torino o direttamente, dal momento che detiene ancora il 16% delle quote, o in parte tramite i dividendi di Iren che ne ha il controllo.

Tra gli argomenti adottati dai “No Inc” – c’erano associazioni ambientaliste, No Tav, militanti del nascente Movimento 5 stelle – non solo i rischi per la salute. L’inceneritore, dicevano, avrebbe disincentivato la raccolta differenziata. Non solo: la sua attivazione avrebbe reso sconveniente l’investimento sul porta a porta giacché l’impianto genera utili smaltendo i rifiuti indifferenziati. Un’altra tesi risultata in buona parte fallace: nel 2013 la percentuale di differenziata a Torino era del 41,9%, nel 2021 è salita al 53,3% con una impennata durante l’amministrazione Appendino (+11,4%). 

A distanza di quasi dieci anni dalla realizzazione del termovalorizzatore di Torino si può dire dunque che fu un investimento responsabile sotto ogni punto di vista al punto che ora si è già aperto il dibattito sull'ipotesi di un raddoppio. Così come lo sarebbe a Roma, dove tra veti e malavita l’emergenza rifiuti è sempre più insostenibile. Basti pensare che ogni giorno dalla Capitale partono verso termovalorizzatori stranieri circa 100 tonnellate di combustibile solido secondario, ossia l’indifferenziato raccolto e stabilizzato. Rifiuti che varrebbero circa 300mila MWh all’anno che, per un paese come l’Italia grande  importatore di energia dall’estero (nel 2020 abbiamo importato il 73,4% del nostro fabbisogno, pari a 143,5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) si traduce in un costo imponente e non più sostenibile in tempi come questi.

Ora il dibattito, in Piemonte, si sposta sulla necessità di implementare la capacità di smaltimento dei rifiuti indifferenziati. Basti pensare che su tutto il territorio regionale c’è un solo impianto di incenerimento contro i 13 della Lombardia, i 7 dell'Emilia-Romagna, i 4 della Toscana. La palla è nelle mani della Regione che dovrà scegliere tra le ipotesi attualmente sul tavolo: la prima è di aggiungere una linea al termovalorizzatore di Torino, incrementando la sua capacità di smaltimento dalle attuali 450mila tonnellate ad almeno 600-650mila tonnellate all'anno. Tra le alternative allo studio c'è la realizzazione di un nuovo impianto nel basso Piemonte: una delle aree individuate è a Novi Ligure, particolarmente strategica perché potrebbe servire anche una parte rilevante della Liguria. Intanto a Cavaglià A2a potrebbe avviare le pratiche per costruire proprio su quelle aree un inceneritore. All’assessore Matteo Marnati spetta, in tempi relativamente brevi, individuare una soluzione in grado di non lasciare indietro il Piemonte.

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