POLITICA & GIUSTIZIA

Appendino assolta, "soddisfazione" (a scoppio ritardato) del Pd

Ci sono volute 48 ore al segretario Furia per inviare una nota. Mentre dal sindaco Lo Russo neanche un messaggino. Naturale che provi qualche imbarazzo essendo stato l'autore dell'esposto che ha fatto scattare il processo

Ci hanno messo quarant’otto ore nel Pd per affrontare l’impiccio e trovare le parole per esprimere pubblica soddisfazione per l’assoluzione in appello di Chiara Appendino, l’ex sindaca grillina di Torino che in primo grado era stata condannata per il caso Ream. La notizia è di lunedì, primo pomeriggio, il comunicato del segretario regionale dem Paolo Furia è di oggi (mercoledì 18 maggio) quando ormai le copiose lacrime versate dai begli occhi chiari dell’esponente pentastellata si sono seccate. “Quando un amministratore, alleato o avversario che sia, viene assolto in una vicenda giudiziaria, la sua assoluzione è sempre una buona notizia” afferma Furia in una nota scritta a quattro mani con la sua vice Monica Canalis.

Perché tanto tempo? Chissà. Forse perché a gettare l’ex sindaca nell’inferno di un processo era stato proprio l’attuale sindaco Pd Stefano Lo Russo, con un ricorso presentato in coppia al notaio Alberto Morano? Probabile. Persino al piano nobile di Palazzo Civico hanno strologato un po’ per decidere che fare di fronte al profluvio di felicitazioni che in poche ore hanno inondato le agenzie. Poi si è optato per l’inabissamento. La stessa Appendino ha rivelato che ad essersi congratulati con lei sono stati tre suoi predecessori (Valentino Castellani, Sergio Chiamparino e Piero Fassino), ma non Lo Russo dal quale non è arrivato alcun cenno, né pubblico né privato. Comprensibile l’imbarazzo verso una iniziativa, quella di trasferire lo scontro politico dall’aula della Sala Rossa a quella del tribunale, che ha fatto storcere il naso a molti (e che persino noi, nel nostro piccolo e non certamente indulgenti con l’amministrazione grillina, avevamo a suo tempo stigmatizzato). Un passo falso che però poco o nulla ha a che fare con un disegno volto a far fuori Appendino dalla competizione elettorale successiva, come invece le ricostruzioni ex post lasciano credere.

Va detto, a onor del vero, che la sentenza riconosce la buona fede di Appendino, non certo la buona condotta. L’irregolarità c’è stata ma l’ex sindaca non ha agito consapevolmente per violare le norme. “Noi, che siamo garantisti sempre, auspichiamo che nessuna forza rappresentata in Parlamento adotti mai più toni e proposte giustizialiste – aggiungono Furia e Canalis – perché abbiamo l’obiettivo di riportare il dibattito sul piano del confronto delle idee”. E, soprattutto, di proteggere quel campo largo (per quanto sempre più minato) nel quale Appendino giocherà da protagonista. Su questo c’è da scommetterci.

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