GIALLOROSSI

Pd, "più che largo un campo fertile"

Meglio allargare la coalizione al mondo civico e privilegiare i rapporti con Azione e Italia Viva. La ricetta di Mazzù, segretario della federazione dem di Torino. E i Cinque stelle? "Non sono stati determinanti da nessuna parte"

Il campo largo? “Più che altro lo vorrei fertile”. Dismesso per un attimo il camice bianco del medico e indossati i panni dell’agronomo, il segretario del Pd di Torino Marcello Mazzù non ha timore di esprimere più di una riserva verso quel progetto così pervicacemente portato avanti dai vertici del Nazareno. “Fertile di idee, di proposte – continua – perché un’area politica non può nascere solo attraverso l’aggregazione di simboli ma con la condivisione di contenuti”.

Qual è il responso di queste elezioni?
“Penso che il Pd abbia ottenuto un buon risultato laddove ha saputo costruire un progetto comune con il mondo civico, con quelle persone che pur non aderendo al nostro partito sono disposte a dialogarci e a camminare insieme”.

Da Cuneo ad Asti, passando anche per centri più piccoli come Savigliano, Acqui Terme o Grugliasco le liste civiche hanno dimostrato una forza superiore alle attese. Come interpretare questo fenomeno?
“Quando a prevalere sono dinamiche locali è normale, anzi auspicabile, che la popolazione si attivi e si occupi della cosa pubblica. Io stesso, nella mia Grugliasco, ho iniziato con una lista civica. Compito del Pd è saper dialogare con queste realtà, accompagnarle, aprirsi a esse. Ecco, questo per me è il campo largo da perseguire”.

E il Movimento 5 stelle?
“Mi pare non siano stati determinanti in nessun comune. E poi io penso che una parte delle istanze portate avanti dai Cinquestelle sia condivisibile: la richiesta di maggiore trasparenza, il ricambio della classe politica, una particolare attenzione per le dinamiche ambientali, seppur talvolta declinate in modo populista. Ma poi, alla prova dei fatti, non si sono comportati di conseguenza, basti pensare che all’indomani delle elezioni Giuseppe Conte ha riaperto il dibattito sul terzo mandato”.

Insomma, lei si conferma un anti M5s?
“Ho appena detto che alcuni temi sollevati in questi anni sono condivisibili e per questo il Pd dovrebbe rielaborarli e farli propri. Dimostrando che noi siamo in grado non solo di fare le diagnosi, ma anche di prescrivere le cure”.

È tornato medico. E allora quali sono le cure?
“Per esempio penso che uno dei primi cavalli di battaglia che il Pd deve portare a casa sia il salario minimo. Serve più lavoro ma deve anche essere più dignitoso di ora. Un provvedimento che fa il paio con il reddito di cittadinanza che ha senso nella misura in cui offre un sostegno a chi è in difficoltà, non quando diventa un alibi per restare a casa. Per non parlare del fallimento dei navigator”.

Tutto ciò premesso quale dovrebbe essere il perimetro del nuovo centrosinistra?
“Penso che il Pd dovrebbe partire da un rapporto politico franco con Azione e Italia viva e cercare di estendere l’alleanza a una sinistra di governo. Superando certi personalismi e con il massimo della responsabilità e concretezza”.

In caso di alleanza tra Pd e M5s gli elettori dem tra meno di un anno potrebbero ritrovarsi a votare Chiara Appendino in un collegio che il campo largo potrebbe riservarle. Ci ha pensato?
“Detta così non posso che essere in disaccordo. Al di là di un’alleanza che mi lascia perplesso bisogna anche tenere conto delle singole realtà locali. E a Torino Appendino non ha governato bene, così come gli altri sindaci pentastellati dell’hinterland, alcuni dei quali non sono arrivati nemmeno alla fine del primo mandato”.

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