IERI & OGGI

Trent'anni senza fare Centro

Il Terzo Polo di Renzi e Calenda non è che l'ultimo di una lunga serie di tentativi di ritagliare uno spazio fuori dalla tenaglia destra/sinistra, offrendo un'alternativa moderata e riformista. Le nostalgie democristiane e le prove (fallite) del passato

Con l’avvicinarsi delle urne cresce la voglia di centro. Un classico della narrazione politica italiana. Stavolta il tentativo di far sbocciare il Terzo Polo è nelle mani di Matteo Renzi e Carlo Calenda, ultimi a volersi sottrarre alla tenaglia della polarizzazione, ritagliandosi uno spazio autonomo tra destra e sinistra.

“Saremo l’ago della bilancia” oppure “arriveremo al 10-15%” sono i toni trionfalistici che solitamente accompagnano i nostalgici del centro. È dalla fine della Prima Repubblica che gli ex democristiani cercano di far risorgere la Balena Bianca. Il primo tentativo risale al 1994 quando Mariotto Segni che, dopo il successo dei referendum per cambiare la legge elettorale, sembrava avere l’Italia in pugno. E, invece, il Patto per l’Italia, coalizione composta dal Patto Segni, dal Pri di Giorgio La Malfa, dal Ppi di Gerardo Bianco e Rocco Buttiglione e dai liberali di Valerio Zanone, ottenne a stento il 15%. Poco dopo le urne, arrivò la dissoluzione. Giulio Tremonti lasciò il Patto Segni per aderire a Forza Italia, mentre i “pattisti” andarono insieme ai centristi di Lamberto Dini in direzione dell’Ulivo di Romano Prodi. Anche i repubblicani e i liberali di Zanone passarono col centrosinistra, mentre i popolari si divisero. Buttiglione fondò il CdU e virò verso il centrodestra, mentre Bianco spostò il Ppi a sinistra.

Il secondo tentativo di rompere lo schema bipolare risale alle Politiche del 2001 e fu ancora più fallimentare del primo, nonostante i nomi altisonanti dei promotori del progetto centrista. Democrazia Europea, fondato dall’ex segretario della Cisl Sergio D’Antoni con il sostegno del senatore a vita Giulio Andreotti e dell’ex presidente del Senato Carlo Scognamiglio, si fermò a un misero 3%. Un anno dopo Democrazia Europea confluì nell’Udc, ossia nel soggetto politico in cui si fusero il Cdu di Buttiglione e il Ccd di Pier Ferdinando Casini. Il suo fondatore D’Antoni, due anni dopo, passò col centrosinistra.

In occasione delle Politiche del 2008, invece, è proprio l’Udc di Casini che, non avendo aderito al progetto del Popolo della Libertà (Pdl), tenta la corsa solitaria, ma l’operazione di smarcamento del centrodestra raccolse solo il 5,6%, appena 2,5 punti percentuali in più rispetto a Democrazia Europea. Al progetto aveva aderito anche la Rosa Bianca di Mario Baccini, ex ministro della Funzione Pubblica del terzo governo Berlusconi, di un altro ex segretario della Cisl Savino Pezzotta e di Bruno Tabacci, l'unico dei tre a fare ancora politica ad alti livelli. L’Udc, nel frattempo finito nelle mani di Lorenzo Cesa, è costretto a correre insieme ai tre micro-partiti del centrodestra nella speranza di raggiungere la soglia del 3%, mentre la Rosa Bianca si è appassita nel giro di una tornata elettorale.

Il fallimento più grande, però, è targato Mario Monti. L’ex commissario europeo, dopo la sua esperienza da presidente del Consiglio tecnico, era stato spinto dalle cancelliere europee a scendere in politica in prima persona. Siamo nel 2013 e il centrosinistra guidato da Pier Luigi Bersani spreca l’intera campagna elettorale a discutere se, dopo il voto, sarebbe stato opportuno o meno allearsi con la coalizione “Con Monti per l’Italia”, a cui i sondaggi attribuivano il 15-20% dei collegi. All’apertura delle urne arrivò l’amara sorpresa di un misero 10,5%.  La coalizione centrista segnò la fine della carriera politica di Gianfranco Fini che, con il suo Fli (Futuro e Libertà per l’Italia) prese solo lo 0,4%. Dell’Udc si è già detto tutto, mentre Scelta Civica è passata alla memoria come “Sciolta Civica” in quanto Monti disconobbe quasi subito il partito che aveva fondato e i pochi eletti presero ognuno la propria strada. All’epoca, un (non tanto) giovane Carlo Calenda tentò di farsi eleggere in Parlamento tra le fila dei montiani, ma senza successo. Ora, proprio Calenda, spera di superare i suoi predecessori e dimostrare che il buon risultato di Roma non è stato frutto del caso. Certo, i precedenti non sono a suo favore. Anzi...

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