VERSO IL VOTO

Miliardi di promesse elettorali

Ogni proposta è una mancia, un bonus o un salasso per le entrate. Nessuno si occupa delle coperture. Per realizzare quel che promette de Magistris ci vorrebbero 173 miliardi, poco meno per la Meloni. Solo il Terzo polo fa i conti con la realtà

Quanto costano le promesse dei partiti? Tanto, forse troppo per un paese che, come noto, è gravato da un debito pubblico tra i più alti del mondo (il 159% del pil, peggio di noi solo Giappone, Sudan, Grecia, Eritrea e Capo Verde). Servirebbero decine, decine e decine di miliardi per assecondare tutti i desiderata dei leader che s’affastellano in programmi che assomigliano sempre di più a un irrealizzabile elenco della spesa. Una mancia a tizio, un’altra a caio, un bonus di qua uno di la. Basti pensare che se diventasse premier Luigi de Magistris, frontman di Unione Popolare, si andrebbe in pensione a 60 anni con 35 di contributi, verrebbe azzerata l’Iva sugli alimentari e il Reddito di cittadinanza salirebbe a 1.000 euro al mese. Non solo: il pirotecnico ex sindaco di Napoli, dove non per niente ha lasciato un bilancio scassato con 5 miliardi di debito, promette di assumere un milione di impiegati nella pubblica amministrazione e di costruire 500mila nuovo alloggi popolari. E queste sono alcune delle proposte contenute in un programma che per essere realizzato in toto necessiterebbe di quasi 173 miliardi. Non sorprende che dopo dieci anni di de Magistris per risistemare le casse napoletane sia dovuto arrivare il vituperato Mario Draghi con un programma ad hoc che prevede ingenti stanziamenti statali.

A fare i conti in tasca ai partiti e soprattutto ai loro programmi ci ha pensato il team di “Liberi oltre le illusioni”, un movimento che promuove il metodo scientifico nello studio delle tematiche sociali. E anche la politica non fa eccezione, anzi. Calcolatrice alla mano proprio de Magistris, a capo di un rassemblement di cui fanno parte anche Rifondazione comunista e Potere al popolo, ha il programma più oneroso da realizzare e per fortuna anche le minori chance di vincere rispetto a tutti gli altri.

Alle sue spalle ecco Giorgia Meloni, favorita numero uno per il successo finale. Stando alle sue promesse – in larga parte condivise con gli alleati del centrodestra – l’Italia dovrebbe essere pronta a spendere un tesoretto di 160 miliardi di euro. Tesoretto che, ahinoi, non pare esserci. Il programma di Fratelli d’Italia è un mix tra riduzione delle tasse (a partire da Irap e cuneo fiscale sul lavoro dipendente) ed espansione della spesa per il welfare (vuole raddoppiare l’assegno unico per i figli a carico introdotto in questa legislatura). Ovviamente nessun accenno su dove troverà questi soldi a meno che non ceda all’alleato Matteo Salvini che non vede l’ora di poter varare l’ormai celebre “scostamento di bilancio”, in altri termini aumentare ancora un po’ il debito pubblico. Certo, Meloni è contro il reddito di cittadinanza ma non è chiaro se intenda abolirlo o solo rimodularlo e comunque non basterebbe per coprire tutte le spese contenute nel suo programma. Nella sezione proposte buffe spunta la Pink Tax, perché non è giusto che un taglio di capelli da uomo costi 16 euro e uno da donna arrivi a 50!

Tra i più morigerati ci sono Pd e Movimento 5 stelle, che si accontentano, si fa per dire, di spendere poco più di cento miliardi a testa. Giuseppe Conte, in particolare, non vede l’ora di rendere strutturale il Superbonus 110%, che da solo costerebbe 36 miliardi a cui si devono aggiungere il rafforzamento del Reddito di cittadinanza, il bonus donna, il taglio dell’Irap e una serie di altre misure che fanno raggiungere un totale di 106 miliardi. Coperture? Circa 2,6 miliardi risparmiati sulle spese militari. Curioso invece che la misura più onerosa per il Pd sia la realizzazione di 500mila alloggi popolari, gli stessi che vorrebbe costruire anche de Magistris per un costo a carico delle casse pubbliche di 36 miliardi. Complessivamente, invece, il programma di Enrico Letta (guanciale compreso) arriva a toccare i 110 miliardi, compreso anche il salario minimo che tuttavia grava sulle imprese e non sul pubblico.

Per fortuna a risparmiare ci pensano Carlo Calenda e Matteo Renzi. Liberi Oltre fa notare come sia l’unico a contenere un capitolo crescita e produttività: insomma, non solo redistribuzione. Perché in fondo la ricchezza se non la crei non puoi ridistribuirla. Il Terzo polo scrive chiaramente di voler realizzare due rigassificatori, per un costo complessivo di 1,5 miliardi (che tuttavia rappresenta più che altro un investimento), 8 miliardi servono per le reti di trasporto e anche qui compare l’abolizione dell’Irap per un costo di 26 milioni. Se Conte le spese per la difesa intende ridurle (pur essendo lui da premier ad aver avviato la riforma che le incrementava) Calenda non ha timore di approvare l’aumento della spesa fino al 2% del pil complessivo.

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