GRANA PADANA

Nella Lega si prepara il dopo Salvini. Molinari e Fedriga contano le truppe

La pensione per il Capitano è quota 10. Sotto questa percentuale inevitabilmente si aprirà il regolamento di conti all'interno del partito. La sfida tra il capogruppo e il suo predecessore e governatore friulano. La successione "dolce" del deputato alessandrino

L’ultimo intervento in aula di Riccardo Molinari per annunciare il voto favorevole della Lega sul Dl Aiuti ter è quasi un manifesto politico. Soprattutto se letto in prospettiva, alla luce di quanto potrà accadere dopo il 25 settembre nel partito di Matteo Salvini – e in primis al suo stesso leader – qualora le funeste previsioni delle ultime ore dovessero avverarsi. Lo spettro di attestarsi sotto il 10% agita lo stato maggiore di via Bellerio e non meno le intendenze sul territorio. E così le parole del capogruppo e segretario piemontese suonano come un’allerta: non si ricorda, nell’epoca recente del Carroccio salviniano, una rivendicazione della coerenza, tradotta in continuità, come quella su cui ha posto l’accento Molinari facendola affondare nelle origini della più longeva forza politica del Paese. Ma, soprattutto, la citazione del “visionario Umberto Bossi” e le sue profezie alla fine degli anni Novanta sembra correggere il percorso verso il futuro della Lega allargando una strada che il Capitano ha ristretto lasciando sul ciglio temi fondativi – dal federalismo alla vocazione nordista sacrificati nel rischioso inseguimento di Giorgia Meloni – non a caso richiamati o evocati nel discorso.

Domani si torna a Pontida dopo tre anni di assenza causa Covid. Sarà la trentaquattresima edizione del raduno, per Salvini sarà diversa dalle altre. Qualcuno azzarda potrebbe essere, per lui, l’ultima da capo. Con i consensi in picchiata e un appeal eroso nella credibilità sembra sparire dall’orizzonte la riproposizione di un Salvini al governo e alla guida del partito, tanto più se uscito pesantemente ammaccato dal voto. E mentre circolano voci su veti all’attribuzione di ministeri strategici a Salvini, ipotizzando per lui l’Istruzione o il Lavoro, comunque dicasteri lontani dalla geopolitica, il tema della successione è ormai uscito dalle discussioni carbonare.

Nessuno vuole parlare di resa dei conti, ma che Salvini sia vicino al canto del cigno lo ammettono in molti. A partire da Veneto della Liga da sempre autonomista anche all’interno del partito fin da quando era secessionista, per non dire di tensioni e malumori che serpeggiano da tempo in tutto quel Nord eliminato dal simbolo, ma pur sempre bacino elettorale sia pure un po’ prosciugato e terra dei maggiorenti.

Inevitabile prepararsi a un dopo che il voto potrebbe anticipare. Lo si sta facendo nel Nord Est dove a dispetto delle periodiche “investiture” quale antagonista di Salvini, il governatore Luca Zaia non pare interessato a mettersi alla testa del Carroccio preparando invece per sé un ruolo europeo, ma nient’affatto disinteressato alla questione. L’uomo cui affidare l’impresa è il suo collega friulano Massimiliano Fedriga. L’iniziativa capeggiata dall’ex numero uno alla Camera e oggi presidente della Conferenza delle Regioni è stata ribattezzata dal Foglio come la “cordata dei duchi”, forse perché chiamarli dogi sarebbe stato segnare troppo l’impronta di Zaia. E chissà perché nelle chat, invece, l’altro fronte è finito per essere quello dei “corsari”. Vedere Molinari con la benda e la spada capeggiare l’arrembaggio è immagine che stride con quella del plenipotenziario di Matteo in Piemonte. Ma questo non cambia la sostanza. Naturalmente l’interessato nega, ma è proprio colui che a lungo è stato il braccio del Capitano e che al leader è sempre stato fedele e leale, a prepararsi a futuri incarichi. Potrebbe essere riconfermato alla presidenza del gruppo a Montecitorio oppure, facendo contenta la Meloni che sopporta a stento Molinari, per il parlamentare alessandrino non è detto non si stenda la passatoia d’onore verso lo scranno più alto della Camera.

Ma c’è pur sempre anche la segreteria, che dopo una stagione di forte personalizzazione, di identificazione totale con il leader, verosimilmente sarà connotata da una gestione più collegiale e inclusiva. Tratti somatici che parrebbero disegnare proprio la figura di Molinari, cui vengono riconosciute doti di equilibrio, mediazione, oltre all’abilità oratoria e alla presenza televisiva. Certo su di lui pesa la sconfitta subita alle comunali nella sua Alessandria – un “incidente”, lo ha liquidato Salvini – e la debolezza del partito in Piemonte. Sarà lui, come del resto capitò in passato con altri suoi mentori (da Tino Rossi a Roberto Cota) a vestire i panni di Bruto e pugnalare Matteo? Non è escluso, anche se la sua discreta discesa in campo sembra più dettata dall’esigenza di inibire o contrastare manovre ostili a Salvini che non dalla reale intenzione di porsi quale successore. Certo, se poi gli eventi lo imporranno non si tirerà indietro, ma sarà però una successione meno traumatica, quasi concordata.

Abile e accorto nel forgiare in Piemonte un partito a sua immagine e somiglianza, come si è visto nella composizione delle liste dove sono stati premiati fedelissimi e yesman, vanta pure solidissimi appoggi nella confinante Liguria con l’amico fraterno Edoardo Rixi (i due si divisero da buoni fratelli il posto da capogruppo e quello da viceministro alle Infrastrutture nel governo gialloverde), ma ha ottimi rapporti anche in Lombardia, in particolare con il segretario regionale Fabrizio Cecchetti, pronto però a spendersi per Molinari solo quando Salvini tirerà l’ultimo respiro. Una cautela quella del numero uno lombardo anche conseguenza del rischio di espulsione da lui corso anni addietro per aver votato a favore del patrocinio della Regione al gay pride. Tra coloro pronti a sostenere Molinari c’è, ovviamente, la sua fidanzata, Rebecca Frassini, 33 anni, deputata uscente e ricandidata blindata nella sua terra bergamasca. Simpatizza per Molinari anche l’euroscettico Claudio Borghi Aquilini, spesso invitato a incontri e manifestazioni.

Di contro, non parteggiano per Molinari i veneti – a iniziare da Zaia (i due non si sopportano) – e neppure i toscani – l’europarlamentare toscana Susanna Ceccardi, figura emergente pare coltivi qualche ambizione in proprio– così come non sarebbero tra i suoi sostenitori i lombardi che fanno riferimento all’ex segretario Paolo Grimoldi, storico antagonista di Salvini e per questo “punito” con il terzo posto in lista. Non potrebbe contare, Molinari, certamente sui “giorgettiani” visto che con l’eminenza grigioverde non c’è mai stato feeling, tantomeno sulla Lega romana e sudista che fa riferimento all’ex sottosegretario Claudio Durigon, il protagonista dell’inciampo sulla richiesta di intitolare il parco di Latina ad Arnaldo Mussolini, a quanto pare ancora offeso con l’ex assessore regionale del Piemonte Massimo Giordano per la reprimenda ricevuta, senza che Molinari prendesse posizione come si sarebbe atteso l’ex sottosegretario.

Una geografia giocoforza parziale e che potrebbe modificarsi se e quando il dopo Salvini non sarà più solo un’ipotesi, ma una difficilmente evitabile conseguenza dell’esito elettorale. Per domani c’è, naturalmente, attesa su cosa dirà Salvini a Pontida e quanti saranno nel luogo simbolo di una Lega che da tempo non è più quella del Senatur e non potrà più esserlo. Ma la citazione a lui riservata da Molinari in un intervento di forte significato politico come quello dell’altro ieri non pare né casuale, né di maniera, tantomeno un pur apprezzabile omaggio. I messaggi rivolti dal capogruppo all’interno del suo partito e in aula potrebbero apparire ancora più chiari quando la Lega, anche senza arrivare a una resa dei conti, i conti dovrà farli.

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