GRANA PADANA

Zero ministri e sottosegretari, Lega Piemonte a bocca asciutta

Cresce il malcontento nel partito. Quello della Meloni è il terzo governo in cui non ci sono esponenti locali del Carroccio. E Molinari, cornuto e mazziato, criticato nelle chat riservate dei dirigenti. Brutte avvisaglie in vista delle regionali

Solo posti in piedi, per la Lega piemontese, accontentarsi di guardare da fuori il Governo e vedere l’effetto che fa. Non una poltrona ministeriale, ma neppure uno strapuntino da sottosegretario in un dicastero di seconda fascia. Niente. Ah no, proprio niente no. Chi vuole vedere il bicchiere mezzo pieno anche se è quasi vuoto, ricorda che piemontese è il riconfermato capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, che poi è pure il segretario del partito nella regione dove le residue speranze di poter sentire il nome di un esponente locale tra i rincalzi dell’esecutivo sono miseramente svanite alla lettura dell’elenco da parte di Giorgia Meloni. Sì, vabbè, sarà pure come spiegano gli amici del “Mol” che un presidente di gruppo vale quanto un ministro, però vaglielo a spiegare a quelli, non pochi, da lunedì pomeriggio lì a scatenare la rabbia e l’orgoglio ferito nelle chat, a masticare amaro, a guardare in tralice sospettosi di gattopardesche manovre sopra le loro teste.

C’è chi sceglie il sarcasmo, come il consigliere cuneese di Palazzo Lascaris Matteo Gagliasso, della nidiata dei giovani padani, afflitto per la mancata rielezione di Flavio Gastaldi paracadutato da Genola a Torino alle spalle di Elena Maccanti, chi impreca il destino cinico e baro. Se son rose fioriranno, dicevano i più speranzosi, invece neppure “il giardiniere” Marzio Liuni è riuscito ad andare all’Agricoltura, alla faccia delle rassicurazioni che diceva di aver ricevuto direttamente da Molinari esibendo come prova i suoi sms. Al di là dei meriti (a trovarne) a tarpare le ambizioni dell’ex deputato pare sia stata la freddezza dei suoi conterranei di partito, perché non è un mistero che i novaresi facessero (e facciano tuttora) il tifo per Alberto Gusmeroli, cui sperano tocchi almeno una presidenza di Commissione. Pure i torinesi masticano amaro, facendosi bastare la nomina di Alessandro Benvenuto a questore di Montecitorio, ma assistendo con crescente preoccupazione alla concorrenza in città degli alleati che, facendo leva sulle posizioni conquistate a Roma, avranno gioco facile nell’accreditarsi come unici interlocutori con istituzioni e stakeholder.

Lo sconforto, insomma, è grande e diffuso. Una delusione ancor più difficile da digerire perché in questo Governo buona parte del partito di Matteo Salvini in Piemonte contava per uscire finalmente da una sorta di maledizione che aveva segnato, con l’assenza di ministri e sottosegretari, gli ultimi governi di cui la Lega ha fatto parte. Pure il Veneto leghista era stato lasciato senza ministri, ma aveva fatto sentire la sua voce e alla fine, nonostante Lorenzo Fontana alla presidenza della Camera, non propriamente un seguace del doge Luca Zaia, al rush finale ha incassato due sottosegretari: Massimo Bitonci al Mise e Andrea Ostellari alla Giustizia. Alla foce del dio Po qualcosa alla fine è arrivato, mentre laddove nasce la storica ampolla è rimasta vuota.

“Normale quando il capo tratta anzitutto per sé”, spiega un leghista storico che punta il dito contro Molinari peraltro rimasto scornato all’ultimo miglio nella corsa allo scranno più alto di Montecitorio. È eloquente la foto scattata al termine di quella segreteria federale nella quale si sono spenti i suoi sogni. Come si dice, far buon viso a cattivo gioco. È giovane, ha tutta una vita politica davanti, ma ciò non toglie che lo sberlone ricevuto direttamente “dal Matteo” abbia lasciato il segno. “Farà come suo solito: nulla”, infierisce un dirigente della sua provincia mandrogna, in cui la recente sconfitta del capoluogo pesa come un macigno anche al di fuori dei confini del Piemonte. “Non si fida di nessuno, vede trame ovunque, ammazza nella culla chiunque possa rappresentare anche solo lontanamente una minaccia per la sua leadership”, finora fondata sul classico divide et impera. Quanto potrà ancora reggere? E, soprattutto, un partito così provato come si presenterà all’imminente appuntamento elettorale della Regione?

È un Piemonte, quello nel Governo Meloni, dove il partito del presidente del Consiglio non solo conta due ministri (Guido Crosetto e Daniela Santanchè), ma a dispetto di più di una previsione raddoppia pure i sottosegretari con Augusta Montaruli all’Università che si aggiunge al “predestinato” Andrea Delmastro. Un quadro in cui spicca il deserto leghista. Per attraversarlo, arrivando alle regionali, resta poco più di un anno.

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