TRAVAGLI DEMOCRATICI

Anticipare il congresso. Il Pd stringe i tempi per non tirare le cuoia

Altro che fase costituente, il partito è in catalessi e rischia di non arrivare vivo al 12 marzo. Letta apre e Bonaccini plaude. Orlando e Provenzano non sanno più che pesci pigliare. Cresce il consenso attorno al governatore dell'Emilia-Romagna

Ogni giorno che passa lo stato di salute si aggrava e il Pd oggi è già a un passo dalla terapia intensiva. Sembra un orizzonte lontanissimo il 12 marzo quando nella road map indicata da Enrico Letta si dovrebbe celebrare il congresso che consegnerà al partito o a quel che ne resta una nuova leadership. Per Claudio Velardi, ormai redento dal suo passato dalemiano, il Pd semplicemente “è morto”. L’emorragia di consensi è sempre più difficile da tamponare, il segretario, tanto per citare Matteo Renzi, continua a non azzeccarne una e la contestazione subita dalla piazza di Roma – dove secondo molti non si sarebbe dovuto neanche presentare viste le ambiguità di quel corteo rispetto alla guerra in Ucraina – è la dimostrazione di quanto grave sia la situazione.

È forse la catalessi lo stato che meglio definisce il Pd di oggi che vaga senza una meta, senza un’idea, senza essere nemmeno cosciente. E forse è per questo che, in un momento di lucidità, Letta ha aperto all’ipotesi di anticipare il congresso. Il tema è all’ordine del giorno della segreteria che si sta svolgendo a Roma. È ciò che chiedono da settimane i sostenitori del governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, a oggi l’unico candidato almeno ufficiosamente in campo, appoggiato non solo più dagli ex renziani di Base Riformista. Circola da tempo anche il nome della sua (ex) vice in Regione, Elly Schlein, che ultimamente però sembra essersi defilata. L’ala sinistra sempre più logora da anni di occupazione delle poltrone, cerca disperatamente un’alternativa e chiede al segretario dimissionario di allungare il brodo: perdere tempo per prendere tempo. Fosse per Andrea Orlando e Peppe Provenzano il congresso si terrebbe tra un paio d’anni. L’iniziativa dei “coraggiosi” guidata dall’europarlamentare Brando Benifei, un tempo loro adepto e oggi principale contestatore, ha inflitto un colpo durissimo ai due.

Secondo Bonaccini, che misura ogni parola dei suoi interventi, sta “crescendo la consapevolezza che, con quello che sta accadendo, forse sarebbe utile” anticipare i tempi. Ma il governatore dell’Emilia-Romagna specifica che si rimetterà alle “decisioni collettive” restando in attesa di capire se, da parte di chi ha il potere di farlo, verrà avanzata una nuova proposta sui tempi. L’assenza di altri candidati forti (del sindaco di Firenze Dario Nardella già non si parla più tanto) sta facendo crescere il consenso attorno a lui e se alla fine il partito deciderà di stringere i tempi potrebbe essere il segnale definitivo che le correnti stanno convergendo sul suo nome; in caso contrario ci sarebbe ancora chi prova a battere strade alternative. Tutti guardano all’ex ministro Dario Franceschini e alla sua AreaDem, forse la più longeva corrente del Pd, quella che ancora oggi governa il partito dal centro, alleandosi ora con l’ala più riformista (durante la stagione di Renzi) ora con la sinistra quando al Nazareno sono approdati Nicola Zingaretti e Letta.

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