RETROSCENA

Autonomia coi piedi di piombo, Forza Italia ora frena la Lega

Il Carroccio pensa di usare la riforma Calderoli per riconquistare terreno al Nord. Berlusconi si mette di traverso e manda in campo la Casellati: "Nessuna fretta", raccomanda ai suoi. E così il Piemonte di Cirio non farà passi in avanti. Per la gioia dei meloniani

Per il suo “padre”, il ministro Roberto Calderoli, e per tutti i leghisti è “il nostro sogno”, ma quello sull’autonomia potrebbe diventare un incubo per il partito che ne ha fatto un totem. Nella notte che auspicano lasci presto spazio al sol dell’avvenire in versione federalista, potrebbe apparire l’immagine sinistra di Villa San Martino trasformata in casa degli spettri. E infatti lì, nella magione di Arcore, che Silvio Berlusconi nei giorni scorsi durante il pranzo di Natale con i suoi ministri e altre figure di spicco di Forza Italia avrebbe chiesto di “seguire con attenzione in dossier autonomia” con il non nascosto intento di rallentare la galoppata leghista.

Il piano prevede di affidare la regia di quella che potrebbe dirsi una guerra non ortodossa all’interno del centrodestra (con i Fratelli d’Italia notoriamente non entusiasti sulla madre di tutte le battaglie leghiste) a Elisabetta Alberti Casellati, forte del suo ruolo di ministro delle Riforme dal quale fino ad ora ha esercitato poco o nulla sul fronte dell’autonomia, lasciando campo libero al collega leghista.

Nel progetto del Cav per cercare di tenere la posizione ed evitare risalite nei consensi del partito di Matteo Salvini c’è pure una sorta di war room periodica con ministri, presidenti di Regione e capigruppo, sempre volta a tenere sotto controllo l’iter della legge che Calderoli annuncia di portare in Consiglio dei ministri prima della fine anno e approvata entro il 2023. Berlusconi sa bene come sull’autonomia l’alleato storico si giochi molto, se non tutto, visti i malumori crescenti all’interno della Lega e le accuse di trascuratezza dei temi fondativi e identitari da parte del segretario. Sopire, troncare... L’aria di Arcore è quella manzoniana rispetto alla festa che la Lega s’appresta a fare per celebrare la ricucitura di quel matrimonio rotto con buona parte del suo elettorato nordista, sancita dalla debacle alle ultime elezioni.

Una strategia, quella di Berlusconi, che non sarà improntata allo scontro. Quindi nessun ostacolo al via libera alla legge cui sta lavorando Calderoli. Piuttosto sarà dopo, in quelle fasi successive e cruciali per la messa a terra della norma, che si potrà vedere se e quanto funzionerà il piano di Arcore. Ci saranno da definire gli ormai famigerati Lep, i livelli essenziali delle prestazioni nelle varie materie per cui si sancisce la maggiore possibilità di manovra delle Regioni e, non di meno, oggetto della disputa con le Regioni del Sud cui Forza Italia guarda con giustificata attenzione. Frenare la Lega al Nord e tenere il punto in Meridione: elementare, Silvio.

Un’ulteriore possibilità di azione per gli azzurri potrebbe essere data da quella cabina di regia chiamata alla ricognizione delle normativa statale e delle funzioni esercitate dallo Stato e della Regioni, come previsto nel testo Calderoli. La composizione dovrebbe vedere Giorgia Meloni alla presidenza e, oltre a Calderoli, i ministri Raffaele Fitto (FdI), Giancarlo Giorgetti (Lega), Casellati (FI) e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, meloniano di ferro. Ma, al netto dei numeri a favore della frenata, probabilmente non sarà lì che potrà attuarsi il piano B (da Berlusconi), bensì proprio nella commissione tecnica sui Lep, organismo composto da esperti nominati dai partiti di maggioranza. E se lì, come nell’organismo di Palazzo Chigi, la procedura dovesse rallentare, la riforma-totem della Lega resterebbe solo un enunciato in attesa di passare alla sua traduzione in pratica.

La frenata, naturalmente, sarebbe tutt’altro che sgradita al partito della premier che non manca occasione di ribadire come l’autonomia debba andare di pari passo con la riforma in senso presidenzialista, figurarsi un anticipo. Il piano, che nessun forzista ammetterà mai, appare qualcosa di più del rompere le uova nel pollaio leghista dove il canto del gallo appare sempre più strozzato dai mal di pancia nordisti e di quella crescente fetta di partito che chiede un ritorno ai fondamentali. Potrebbe essere una strategia che contempla anche gli effetti sulle future elezioni regionali, non su quelle a brevissimo termine in Lombardia, ma certamente su quelle del 2024 in Piemonte. E i conseguenti atteggiamenti degli azzurri e, nel caso piemontese, dello stesso governatore Alberto Cirio, stando a quanto trapela sulla strategia di Arcore, parte di quel piano e della sua attuazione.

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