SACRO & PROFANO

Maschio, "normale" e non pettegolo:
così il prete per papa Francesco

All'incontro con i seminaristi di Barcellona il pontefice invece di leggere il testo preparato preferisce parlare a braccio. Un discorso che, tra gli imbarazzi del Vaticano, sta facendo discutere. E per Natale l'omelia di S. Thomas Becket del celebre dramma di Eliot

Papa Francesco non finisce mai di stupire. Il 10 dicembre ha ricevuto la nutrita comunità del seminario di Barcellona ma, invece di pronunciare il bellissimo discorso che era stato preparato – e che invitiamo a leggere sul sito della Santa Sede – lo ha messo da parte e ha parlato a braccio facendo delle affermazioni che persino la sala stampa vaticana non è stata autorizzata a divulgare. Sembra che egli sia irritato perché nei seminari spagnoli si registra un aumento delle chiamate al sacerdozio e questo – non le chiese vuote – lo preoccupa molto, in quanto teme possano approdarvi i perfidi “indietristi”. Delle parole a braccio del papa circolano delle trascrizioni tratte dalla registrazione il cui contenuto, del tutto ufficioso, è dilagato in rete. Per il pontefice, secondo tali versioni, le condizioni per essere ammessi in seminario sono due: essere maschio ed essere “normali”. Ed è proprio su questo ultimo requisito che l’allocuzione si soffermerebbe indicandone le caratteristiche per cui vanno evitati il chiacchiericcio, il carrierismo, il clericalismo, l’ipocrisia, il pettegolezzo e, soprattutto, i merletti. Perché il pettegolezzo «indebolisce l’anima e ti toglie la virilità. Il chiacchiericcio – non so, povere le donne, non voglio dire qualcosa alle donne – ma è una cosa che indebolisce. Toglie la virilità. Ma siate maschi, siate maschi. L’ordinazione delle donne non va. Per favore siate maschi. Comme il faut. Capito?». La differenza con il testo non letto – pubblicato però sul sito vaticano – è impressionante, non solo per lo stile ma soprattutto per il contenuto. Quale dei due riflette la mens di papa Francesco?

Qualcuno sostiene che anche questo fatto evidenzi – come in altri casi – la precisa strategia di secolarizzazione del papato, così come per la clamorosa vicenda del gesuita artista sloveno padre Marko Rupnik, scomunicato per l’assoluzione del complice e poi graziato, dove la remissione della pena era nel potere esclusivo del papa. La triste vicenda è da giorni approdata sui quotidiani europei ma stenta a uscire sui nostri, in particolare su quelli di un preciso gruppo editoriale. Per non parlare del sempre più sconclusionato processo ad Angelo Becciu dove gli interventi dall’alto cancellano, di fatto, molte esigenze di giustizia e diritto. In ogni caso, la comunicazione vaticana è diventata sempre più sgangherata. Secondo l’informatissimo sito Silere non possum sono diversi i cardinali e i vescovi che equiparano il Dicastero per la Comunicazione al sistema di informazione delle dittature.

Oggi però è Natale dove contempliamo il mistero dell’Incarnazione e lo facciamo – nonostante tutto – grazie ad una Chiesa che da due millenni si incarica di perpetuare la presenza e la memoria di questo Bambino che poi muore e risorge per noi. Vogliamo allora proporre ai lettori l’incipit dell’Interludio tratto da Murder in the Cathedral, dramma in versi di T.S. Eliot, con il sermone dell’arcivescovo martire S. Thomas Becket tenuto, prima di essere ucciso, nella cattedrale di Canterbury, la mattina di Natale dell’anno 1170. Pochi poeti hanno parlato del Natale con la lucidità di Eliot perché il Natale non è la zuccherosa ricorrenza dei buoni sentimenti alla quale è ormai ridotto, ma è la festa dell’istante, la festa del «qui ed ora», la festa della coscienza che Cristo richiede a noi ogni istante.

Diletti figli di Dio, la mia predica in questa mattina di Natale sarà molto breve. Vorrei soltanto che voi in cuor vostro meditaste il profondo significato e mistero delle nostre Messe di Natale. Perché ogni volta che una Messa vien detta, noi facciamo rivivere la Passione e la Morte di Nostro Signore; e in questo giorno di Natale noi la diciamo per celebrare la sua Nascita. Così nello stesso momento noi ci rallegriamo della Sua venuta per la salvezza degli uomini e di nuovo offriamo a Dio il Suo Corpo e il Suo Sangue in sacrificio, per riparazione e risarcimento dei peccati del mondo intero. Fu in questa notte appena passata che una schiera dell’esercito celeste apparve davanti ai pastori di Betlemme, cantando “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”; così questo momento è l’unico in tutto l’anno in cui noi celebriamo insieme la Nascita di Nostro Signore e la Sua Passione e Morte sulla Croce.

Diletti figli, per il Mondo, dal suo punto di vista, questo è uno strano comportamento. Perché chi nel mondo si rattrista e si rallegra nello stesso tempo e per la stessa ragione? Infatti, o la gioia è superata dal dolore o il dolore sarà scacciato via dalla gioia; così è solo in questi nostri Cristiani misteri che noi possiamo rallegrarci e rattristarci insieme, e per la stessa ragione.

Ora pensate per un momento alla parola “pace”. Non vi pare strano che gli angeli abbiano annunciato la Pace, quando invece il mondo è incessantemente sconvolto dalla guerra e dalla paura della guerra? Non pare a voi che quelle angeliche voci si siano sbagliate e che quella promessa si sia risolta in delusione ed inganno? Riflettete ora su come parlò della Pace il Nostro Signore. Lui disse ai suoi discepoli: “Pace io vi lascio e la mia pace io do a voi”. Voleva Egli dire pace così come noi la intendiamo? Il Regno d’Inghilterra in pace con i suoi vicini, i baroni in pace con il Re, e il capofamiglia che conta i suoi pacifici guadagni, il focolare ben tenuto, il miglio vino sulla tavola per l’amico, la moglie che canta ai bambini? Quegli uomini che erano Suoi discepoli nulla sapevano di queste cose: essi partirono per viaggi lontani, per soffrire sulla terra e sul mare, per conoscere la tortura, la prigionia, la disillusione, per soffrire la morte con il martirio. Che cosa intendeva dunque Egli dire? Se volete saperlo, ricordatevi che Egli disse anche: “Non come quella che dà il mondo è la mia pace; ed è la mia pace che io do a voi”. Perciò egli diede la pace ai suoi discepoli, ma non come la dà il mondo.

Considerate ancora una cosa alla quale forse non avete mai pensato. Non soltanto noi nella festa di Natale celebriamo insieme la Nascita di Nostro Signore e la sua Morte: ma nel giorno che segue noi celebriamo il martirio del Suo primo martire, il beato Stefano. È per caso, credete voi, che il giorno del primo martire segue immediatamente quello della Nascita di Cristo? Assolutamente no. Proprio come noi ci rallegriamo e rattristiamo insieme, per la Nascita e la Passione di Nostro Signore, così anche – fatte le debite proporzioni – noi ci rallegriamo perché un’altra anima si annovera tra i Santi in Paradiso, a Gloria di Dio e per la salvezza degli uomini.

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