FIANCO DESTR

Dal Trentino al Piemonte, Meloni marcia sul Nord 

Tensione tra Lega e FdI per la guida della Provincia autonoma. Effetto domino sulla decisione che riguarda Cirio. Una sua nomina in Europa farebbe felici molti (incominciando da lui) consegnando le chiavi del grattacielo ai meloniani. Sul tavolo anche il nodo Zaia

Conviene, forse, guardare ancora più in su, fino in Trentino, per provare a capire come potrebbe muoversi il partito più centralista del centrodestra in vista delle regionali del 2024 in Piemonte, prima occasione per piazzare la bandiera dei Fratelli d’Italia su una presidenza di Regione al Nord. Nella Provincia Autonoma si voterà il prossimo ottobre e si tratta di elezioni tutt’altro che di scarso peso, visto che lo statuto della Regione Autonoma del Trentino-Alto Adige prevede che il consiglio regionale sia formato dai due consigli provinciali di Trento e Bolzano, quindi vincere a Trento equivale a ipotecare la guida della Regione. Da qui la tensione nel centrodestra dove la Lega esprime l’attuale presidente della Provincia Maurizio Fugatti deciso, con l’ovvio sostegno del Carroccio, a ricandidarsi, ma con il partito di Giorgia Meloni, forte dell’exploit alle politiche (col 29% contro l’8 della Lega) intenzionato a reclamare un ruolo di protagonista schierando la ribattezzata “Meloni dell’estremo Nord”, Francesca Gerosa.

Un recente vertice locale di Lega, Forza Italia, FdI e civici non ha partorito la soluzione, sancendo al contrario quella che oggi è una divisione: Lega e FI hanno sottoscritto un documento di sostegno a Fugatti, FdI non ha firmato. La questione ormai viaggia verso i tavoli romani e bisognerà vedere se Meloni la darà vinta a Matteo Salvini, le cui parlamentari locali Vanessa Cattoi e Elena Testor hanno fatto salire ancora la temperatura affermando che “la ricandidatura di non si può mettere in alcun modo in discussione”. Affermazione che può apparire un po’ temeraria, visto che la vicenda trentina ormai è parte del più ampio risiko sul tavolo della premier-leader.

Risiko nel quale entra non solo a pieno titolo, ma con un ruolo di primaria importanza, proprio il Piemonte. Pure la tesi del presidente uscente non si cambia invocata con riferimento ad Attilio Fontana in Lombardia non ha fatto breccia del vicecommissario provinciale di FdI Cristian Zanetti, visto che in Sicilia a Nello Musumeci è stato imposto di sloggiare. Ennesimo segnale di come nel partito egemone del centrodestra la partita si giochi su altri tavoli, precisamente su quello nazionale. E se le carte, come ovvio, le dà Meloni sarà, appunto, interessante vedere quale calerà per il Trentino. Nel caso in cui decidesse di non forzare troppo la mano, dunque lasciando alla Lega il candidato, magari sostituendo Fugatti con una figura in grado di conciliare l’anima autonomista del Trentino con i rappresentanti locali di un partito centralista a Roma, la premier potrebbe, come ipotizza Electomagazine – sito torinese molto informato sugli umori della destra – “virare sul Piemonte, facendo felice il governatore attuale che sogna un ruolo di prestigio in Europa”.

Non solo, in quel caso a uscire più che soddisfatti sarebbero in tanti: oltre ad Alberto Cirio che non ha mai fatto mistero del suo sogno di commissario Ue, lo stesso Silvio Berlusconi avrebbe in quella nomina una ragione per rivendicarla e ostentarla (anche in un futuro scenario di intesa Ppe-Conservatori) e Fratelli d’Italia incasserebbe il primo governatore di Regione al Nord, con l’attuale assessore Elena Chiorino pronta a salire al piano presidenziale del grattacielo. E la Lega? Nella Regione dove oggi siede in amplissima maggioranza con i voti del 2019, potrebbe magari mantenere qualche delega di peso proprio per bilanciare la presidenza “fraterna”, ma anche in questo caso serve guardare oltre i confini e, ancora una volta a Nord, anzi a Nord-Est. 

In Veneto, se non interverrà la modifica della legge cui sta lavorando da tempo Luca Zaia (peraltro con i colleghi di Campania, Vincenzo De Luca, di Puglia, Michele Emiliano, e della Liguria, Giovanni Toti), per il Doge non ci sarà la possibilità di un terzo mandato (in realtà, il quarto) nel 2025 e anche in questo caso nulla impedirebbe alla leader di FdI di provare a conquistare la vera roccaforte dell’autonomismo, dove la stessa Lega è, per molti versi, autonoma rispetto al Carroccio salviniano. Tra il Doge e il Capitano, al netto delle dichiarazioni di facciata, non c’è propriamente un feeling. E dunque quanto si spenderebbe il leader leghista per difendere il suo governatore da un possibile assalto meloniano? Questione quella veneta che potrebbe risultare meno complicata, non solo per il probabile via libera a Zaia, ma anche per cosa si deciderà sul Piemonte, a quel tavolo della leader centralista chiamata a giocare una partita tutta al Nord.

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