POLITICA 6 GIUSTIZIA

Intercettazioni, primo round a Esposito. Bigliettopoli a rischio

La Corte Costituzionale ha ammesso il conflitto di attribuzione votato dal Senato. Oltre cento conversazioni dell'ex parlamentare (oggi imputato) utilizzate dai pm senza l'autorizzazione di Palazzo Madama

“Sussistono i requisiti soggettivo e oggettivo di un conflitto la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte”. Un paio di righe a concludere numerose pagine dell’ordinanza con cui la Corte Costituzionale dichiara ammissibile il conflitto di attribuzione tra Poteri dello Stato sollevato dal Senato in merito all’uso da parte della Procura della Repubblica di Torino, con il successivo avallo del gup presso lo stesso Tribunale, di intercettazioni eseguite senza la necessaria autorizzazione di Palazzo Madama nei confronti dell’allora senatore del Pd Stefano Esposito. Intercettazioni sulle quali si è basata l’accusa e si fonda ora il processo per l’inchiesta ribattezzata “Bigliettopoli” e che vede rinviate a giudizio ben 23 persone tra cui il re dei concerti Giulio Muttoni, lo stesso Esposito ed Enzo Lavolta, già vicepresidente del Consiglio comunale e assessore durante l’amministrazione di Piero Fassino

La Procura di Torino, con il pm Gianfranco Colace, ha utilizzato ben 132 intercettazioni, tra il marzo 2015 e il giugno 2018, in cui Muttoni parlava con l’allora senatore Esposito (il conversante, in termini tecnici). Intercettazioni che dovevano essere inviate alla giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama per vagliarne in quella sede un eventuale via libera all’utilizzo o meno in sede processuale. E invece, senza che il Parlamento sia stato interpellato, quelle conversazioni sono diventate parte integrante dell’impianto accusatorio. Impianto che ora rischia di uscire fortemente compromesso, addirittura ponendo in forse lo stesso processo, dopo la decisione della Corte Costituzionale.

La condotta del pm, così come quella successiva del gup Lucia Minutella, cui la grave anomalia procedurale era stata evidenziata dai legali delle difese, aveva addirittura portato l’ex magistrato già presidente del Senato ed esponente di Leu Pietro Grasso a proporre al Parlamento “una segnalazione al Ministro della Giustizia, al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione e al Consiglio superiore della magistratura finalizzata ad attivare nei confronti dei magistrati competenti un procedimento disciplinare in relazione alle violazioni dell’articolo 68 della Costituzione, nonché della legge numero 104 del 2003”. 

Oggi, dopo l’ordinanza della Corte Costituzionale che segna un forte punto a sostegno delle tesi di Esposito (e non solo sue, come attesta l’intervento di Grasso, ma soprattutto il voto con cui il Senato ha promosso il conflitto di attribuzione), in un ribaltamento di ruoli, toccherà proprio ai magistrati torinesi difendersi dinanzi alla Corte Costituzionale per quella condotta, che, come richiamato nell’ordinanza, avrebbe provocato “la lesione della propria sfera di attribuzioni presidiata dall’art. 68, terzo comma, Cost., che richiede l’autorizzazione della Camera di appartenenza per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni, ovvero per utilizzarle in giudizio”.

I giudici costituzionali scrivono, tra l’altro, come la Procura della Repubblica abbia “utilizzato come fonti di prova a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio del 29 luglio 2021, il contenuto di plurime intercettazioni telefoniche che hanno coinvolto il medesimo senatore, e nei confronti del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Torino, per avere posto a fondamento del decreto che dispone il rinvio a giudizio del 1° marzo 2022 le stesse intercettazioni” evidenziando il fatto che questo sia avvenuto “senza che alcuna autorizzazione sia mai stata richiesta al Senato della Repubblica, con la conseguente lesione dell’attribuzione a quest’ultimo riconosciuta dall’art. 68, terzo comma, della Costituzione”.

La questione cui ora la Consulta imprime una direzione ben precisa con l’accoglimento (fatto non così frequente) del conflitto di attribuzione parte di fatto nel luglio dello scorso anno con il voto da parte del Senato, ritenendo la Procura della Repubblica e il Tribunale e più precisamente il gup, avessero violato poteri e prerogative del Parlamento, prima con la richiesta di rinvio a giudizio contenente le intercettazioni e poi con lo stesso rinvio a giudizio, fondato su di esse, senza aver chiesto la necessaria e imprescindibile per legge richiesta di autorizzazione al Senato. 

Il primo e più importante passaggio in questa procedura è proprio quello della dichiarazione di ammissibilità del conflitto che, appunto, è stata stabilita dai giudici di Palazzo della Consulta. L’udienza pubblica in cui i magistrati torinesi dovranno cercare di giustificare la loro condotta sarà presumibilmente fissata nell’arco di sei mesi, nel frattempo gli effetti dell’ordinanza potrebbero già sentirsi nel processo dinanzi al tribunale di Torino. Il prossimo 27 aprile è fissata un’udienza.

Cosa deciderà il tribunale presieduto da Paolo Gallo? Nei casi in cui a sollevare il conflitto sia il tribunale la sospensione del processo è automatica, mentre in questa circostanza non esiste l’obbligo e spetta proprio al presidente del tribunale decidere. Dunque si fermerà tutto in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale, oppure si procederà con le udienze utilizzando le intercettazioni con la concreta possibilità che i giudici costituzionali accolgano la richiesta del Senato di annullare il decreto di rinvio a giudizio? 

Il giorno in cui quel decreto venne firmato dai magistrati, il 1 marzo dello scorso anno, Esposito disse: “Sono incredulo di fronte a quanto è avvenuto”. Oggi dalla Corte Costituzionale arriva un elemento che suffraga non poco quell’incredulità.

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