SACRO & PROFANO

"Unire diocesi e parrocchie", dopo Fossano tocca a Susa

Domani i vescovi piemontesi a Cussanio con il nunzio Tscherring. L'inviato del Papa solleciterà nel procedere "senza indugi" alle aggregazioni. L'omelia sui "falsi pastori" dell'arcivescovo Repole ai cottolenghini. A Torino l'incontro con il card. Müller

Dunque, dopo quasi un quarto di secolo, sembra finalmente arrivato il momento in cui la diocesi di Fossano che dal lontano 1999 lo era più soltanto in persona episcopi e conservava quindi tutti gli organismi e gli uffici propri di una diocesi, sarà unita sede plena a quella di Cuneo. Domani, a solennizzare l’evento arriverà al santuario mariano di Cussanio nientemeno che il nunzio apostolico in Italia, l’arcivescovo monsignor Paul Emil Tscherrig, il quale presiederà la Messa insieme ai vescovi piemontesi capeggiati dall’arcivescovo metropolita di Torino monsignor Roberto Repole. Si compie così un percorso, si badi, non ancora terminato, al quale la piccola diocesi – nota per il suo istituto teologico in cui ci sono più docenti che discenti, dove si declina un insegnamento di tipo protestante e che i vescovi non hanno il coraggio di chiudere – ha resistito in tutti modi. Si dice infatti che senza l’autoritarismo di Francesco – il quale al solo vedere il numero dei vescovi italiani (242 tra residenziali e titolari e 170 emeriti) non riesca mai a trattenere un moto di stizza – le cose sarebbero rimaste come sono, con la minuscola diocesi di Fossano (20 preti per 33 parrocchie) ancora in vita.

Il programma di Cussanio prevede anche un incontro dei vescovi del Piemonte con il nunzio e sappiamo che questi li solleciterà a nome del Santo Padre, come ha già fatto in passato, nel procedere senza quegli indugi – che per Fossano sono durati ventitré anni – allo studio e alla proposta di nuove unioni di diocesi, prospettiva questa che li vede da sempre riluttanti. Non va infatti dimenticato che il problema delle unioni e delle soppressioni di diocesi e parrocchie va a incidere direttamente sull’erogazione dell’8 per mille, aspetto affatto secondario. A chi toccherà adesso? In linea del tutto teorica dovrebbe essere il turno di Susa (36 preti per 61 parrocchie) – già unita in persona episcopi a Torino – a essere accorpata al capoluogo ma se i tempi saranno quelli di Fossano, farà in tempo tranquillamente a estinguersi. Vi è da dire comunque che in questi anni Susa, con il grigio monsignor Alfonso Badini Confalonieri, ha “sperimentato” molto meno di Fossano, la quale anche a causa dei suoi benestanti borghesi progressisti, ha da sempre la pretesa di costituire un modello quasi compiuto di Chiesa “conciliare”. Il risultato però è lo stesso, la curatela fallimentare continua.

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In occasione della festa liturgica di San Giuseppe Benedetto Cottolengo – lo scorso 30 aprile – l’arcivescovo Repole ha celebrato la Messa nella chiesa grande della Piccola Casa della Divina Provvidenza alla presenza di tutta la famiglia cottolenghina. Nell’omelia ha commentato il brano evangelico del Buon Pastore (Gv 10, 1-10) e ha trattato dei falsi pastori, che sono ladri, e che oggi popolano il gregge e cioè la Chiesa distinguendosi in due specie: quelli che hanno la pretesa di presentare il cristianesimo come un’idea da brandire e quelli che invece di catturare l’attenzione dei fedeli su Cristo la concentrano su di sé. Ma ha anche detto che possiamo avere paura ma non dobbiamo decidere sulla scorta della paura e su quella che tutti ci domina e cioè la paura della morte vinta da Cristo, il Risorto. Poco dopo ha inaugurato il percorso storico delle stanze abitate dal Santo Fondatore e dai suoi primi collaboratori, voluto fortissimamente dal Padre Generale, il sempre vulcanico e pieno di iniziative don Carmine Arice.

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Papa Francesco non finisce mai di stupire. Il suo viaggio apostolico in Ungheria, oltre ad aver rotto di fatto l’isolamento internazionale del premier Orban, ha reso evidente come lo stesso pontefice si sia trovato singolarmente in sintonia con lui su vari temi, non mancando di elogiarlo «per le politiche effettive per la natalità e la famiglia, perseguite in questo Paese». Insomma, un assist per Orban che segna il fallimento del tentativo di emarginare Budapest dai consessi internazionali soprattutto per la sua posizione neutralista sulla guerra in Ucraina. In tal senso, molto realisticamente, l’Ungheria appare anche alla diplomazia vaticana come il luogo privilegiato per avviare quei negoziati indispensabili per poter intravedere un orizzonte che porti alla pace. Ma ben altre sono state le sorprese presenti nei pronunciamenti del papa, dei quali non si trova però quasi traccia nei giornaloni di casa nostra.

Riferendosi alla «via nefasta delle colonizzazioni ideologiche che eliminano le differenze come nel caso della cosiddetta cultura del  gender o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato diritto all’aborto», il papa deve aver sicuramente procurato qualche dispiacere agli organizzatori dell’evento di Poirino, i quali, accompagnati dalla equidistanti precisazioni dell’arcivescovo, hanno intrapreso la via dello sdoganamento nelle parrocchie dei temi  lgbtq. Francesco ha però anche pronunciato un chiaro no al sovranazionalismo astratto e un sì all’Europa dei popoli con un richiamo ai tre cattolici fondatori De Gasperi, Adenauer e Schuman, quest’ultimo primo presidente del Parlamento europeo che sognava una «Europa delle cattedrali» e non delle «burocrazie astratte» che dominano a Bruxelles.

Sulla questione migratoria non poteva essere poi più esplicito con dichiarazioni che sono quelle più volte espresse dal governo Meloni: «Sulle migrazioni credo che sia un problema che l’Europa deve prendere in mano, perché sono cinque i Paesi che soffrono di più: Cipro, Grecia, Malta, Italia e Spagna, perché dono Paesi mediterranei e sbarca lì la maggioranza. E se l’Europa non si fa carico di questo, di una distribuzione equa dei migranti, il problema sarà di questi Paesi soltanto. Credo che l’Europa debba far sentire che è l’Unione Europea anche davanti a questo». Incontrando il mondo universitario, Francesco ha poi avuto accenti quasi ratzingeriani quando, evocando il libro Il padrone del mondo del prediletto Robert Hugh Benson, ex pastore anglicano convertito al cattolicesimo, che aveva immaginato «un futuro dominato dalla tecnica e nel quale tutto, in nome del progresso, viene uniformato» dove si è imposto «un nuovo umanitarismo che annulla le differenze, azzerando le vite dei popoli e abolendo le religioni» ha ricordato che «mentre il pensiero tecnocratico insegue un pensiero che non ammette limiti, l’uomo reale è fatto anche di fragilità, ed è spesso proprio lì che comprende di essere dipendente da Dio».  Insomma, c’ è molto da riflettere, soprattutto per i cattolici che militano nel Pd di Elly Shlein.

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Oggi a Torino il cardinale Gerhard Müller, già prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, presenterà a Palazzo Madama, il suo libro Il Papa. Missione e ministero. L’evento, annunciato sul sito della diocesi, ha il patrocinio della Regione Piemonte ed è organizzato dall’associazione “Logos e Persona” che aveva già promosso mesi fa un affollato incontro con il cardinale Robert Sarah. Chissà se, diversamente da quanto avvenne nel 1998 durante la visita a Torino del cardinale Joseph Ratzinger, alla conferenza del suo successore sarà presente anche qualche esponente di quella Chiesa progressista che invece, all’epoca,  fu  platealmente e clamorosamente assente?

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Devastationis Custodes

Una delle più belle chiese di Vercelli è senza dubbio S. Cristoforo con la pala e gli affreschi di Gaudenzio Ferrari. Da molto tempo il grande crocifisso è stato rimosso dall’altar maggiore e – come è ormai di moda – piazzato di lato, mentre al suo posto sull’altar maggiore, spoglio come il Venerdì Santo, è stata piazzata una enorme pseudoicona. In primo piano troneggia il solito seggiolone che fronteggia il tavolone sul quale viene celebrata la Messa.

Conosciamo vescovi e sacerdoti che non oserebbero mai rivestirsi di quelle vesti liturgiche che, anche solo lontanamente, possano evocare la tradizione, optando sempre per la finta povertà della sciatteria ecclesiastica imperante. Si è ricordato in questi giorni, come ogni anno, l’anniversario della tragedia del Grande Torino avvenuta il 4 maggio 1949, il cappellano della squadra, l’estroverso don Riccardo Robella, classe 1972, ordinato nel 2007, parroco della SS. Trinità a Nichelino, figlio spirituale di don Ezio Stermieri, noto per le sue prese di posizioni no vax ha, come sempre, celebrato la Messa nella basilica di Superga. Per l’occasione, ha indossato una casula rosso granata – che si apparenta con il colore liturgico del giorno, memoria della Sindone – con impressa, invece della croce o di qualche altro riferimento sacro, un bel toro rampante. Dove non si comprende quanto la fede religiosa e quella calcistica siano concorrenti o crescano insieme.

Credits: foto apertura La Voce e il Tempo: foto mons. Repole al Cottolengo di Andrea Pellegrini

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