SACRO & PROFANO

Parte la rivoluzione "debole", germogli e potature di Repole

L'arcivescovo vara la riorganizzazione della diocesi di Torino e segna la cesura netta con la lunga stagione pellegriniana. Mega parrocchie, nuovi assetti e inedite figure di simil-preti. Ecco chi comanda in curia. La canonizzazione del card. Ballestrero

Venerdì scorso, per la Convocazione diocesana al Santo Volto c’era il pienone come mai si era visto. Perché la curiosità, se pure qualcosa era trapelato, e l’attesa per qualche annuncio eclatante si era fatta quasi spasmodica. È stata l’apoteosi del “boarinismo”. E oggi, possiamo dirlo, del “debolismo” repoliano, declinato in tutte le sue forme e modulato in tutte le sue corde. Fin dalla preghiera iniziale, una parola ha dominato e pervaso il clima dell’incontro: la “potatura”. La sensazione di molti è che «la ricerca dei germogli» sia stato il pretesto per arrivare alle potature attuate con un metodo che ad alcuni interessati ha destato perplessità. Al tavolo della presidenza era schierato tutto il consiglio episcopale ma la serata e gli interventi hanno reso evidente quali siano gli uomini forti del gruppo di comando: innanzitutto, dopo l’arcivescovo Roberto Repole, l’ausiliare Alessandro Giraudo che è ormai identificato come “l’uomo forte” della diocesi, poi l’eminenza grigia, monsignor Mauro Rivella, che non ha parlato ma il cui pensiero è tenuto in altissima considerazione e poi don Paolo Tomatis che, come vedremo, è stato chiamato a un ruolo importante, forse il più importante. I vicari don Michele Roselli e don Mario Aversano sono apparsi, specie il secondo, come i missi dominici delle decisioni superiori e don Daniele Giglioli, vicario generale di Susa, come rassegnato.

La prima parte è stata dedicata alla «commissione dei germogli» dove si sono messe in luce – tutte in positivo – le «dinamiche emergenti», quelle «cose» che nelle trecento schede della consultazione «abbiano dentro una bella promessa di futuro» con alcuni temi emergenti: prevalente fantasia della carità, attenzione agli adulti, ritorno alla Parola, nuove forme di oratorio, nuove equipe pastorali. La seconda parte dell’incontro è stata la più attesa, il clou. L’arcivescovo è partito come sempre dall’esaurimento del regime di cristianità per arrivare a giustificare i cambiamenti sul territorio i cui criteri e scelte operative debbono avvenire – per rispondere alla «fame di vita e di bellezza» degli uomini – su tre direttrici: ascolto della Parola, Eucarestia domenicale e fraternità. Si rende allora necessario ampliare i territori delle circoscrizioni parrocchiali, formare reti di più comunità presiedute da un prete ripensato attorno ad un «centro Eucaristico», concepire il ministero ordinato in modo diverso con un diaconato «plastico» e «creatore di relazioni», attivare i nuovi ministeri laicali istituiti ad tempusper cinque anni (lettore, accolito, coordinatore dell’annuncio e catechesi, delle attività caritative, equipe guida delle comunità composte da tre persone) formati in un nuovo Istituto e cambiare l’assetto della Curia. Su questo aspetto si è soffermato il vescovo ausiliare che ha cominciato a fare i primi nomi.

Si è delineato qualcosa di inevitabilmente nuovo, ancora in gestazione e marcato da una certa fluidità. Ciò che il progetto ha dietro è una ben precisa teologia e, anzitutto, una certa idea di Chiesa rappresentata dalla figura del «membro di equipes guida di comunità senza la figura del presbitero» che qualcuno ha già definito una specie di “simil-prete” ma, soprattutto, dal nuovo mega Istituto per la Formazione affidato a don Tomatis che diventa così una figura cardine della diocesi. Altra novità interessante è che la pastorale giovanile sarà in stretto collegamento con il seminario guidato dal rettore Giorgio Garrone.

Ci sono poi i sommersi e i salvati ma su questo aspetto torneremo nei prossimi articoli. Solo alcuni accenni. Don Luca Ramello – che sembra essere la più illustre vittima del nuovo corso – esce dalla pastorale giovanile (sostituito da una religiosa) così come don Roberto Gottardo da quella scolastica e don Massimiliano Canta da quella sanitaria e mandati, i primi due, a fare i parroci. Si salvano don Claudio Baima Rughet, don Paolo Fini e pochi altri. Alcuni hanno saputo il nome dei loro sostituti la sera stessa dalla voce dei vicari. Circa l’aggregazione delle parrocchie di nuova creazione colpisce la loro dimensione, si pensi all’unione di Santo Volto, Cottolengo e Stimmate o delle cinque parrocchie di Nichelino e delle quattro di Grugliasco accorpate in una. Stessa sorte seguiranno in seguito tutte le altre, mentre la Madonna della Pace viene commendata al Sermig.

Con l’uditorio non ancora ripresosi dal botto e ancora frastornato dall’annuncio dei cambiamenti – decisi spesso a tavolino senza discutere troppo con gli interessati su ciò che veramente si volesse fare – l’arcivescovo ha concluso con un inno e un richiamo alla fraternità, lamentando che non è cristiano agire nella Chiesa «per tendenze». Detto da chi è stato ed è l’esponente maggiore di una ben precisa tendenza ecclesiale – del tutto legittima – è parso notevole. Con la Convocazione di venerdì la diocesi di Torino chiude definitivamente – lo si voglia o no – la lunga stagione del “pellegrinismo” e dei suoi esausti epigoni. Si volta pagina e questa non è una novità di poco conto. Quel cattolicesimo tutto sociale che fu la sua bandiera, è ormai sullo sfondo e consegnato agli archivi. Cosa diventerà lo vedremo presto, ma se la linea è ancora in fieri, il metodo è apparso ben chiaro. Suaviter, sed firmiter. Chi sta fuori dal cerchio è avvisato.

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In tutto questo dibattere e discutere, in tutta questa sollecitudine per nuovi assetti, in tutto questo accorrere per ascoltare parole umane, in tutto questi pseudo cambiamenti e progetti, Uno è stato il Grande Dimenticato: Gesù Sacramentato. Giovedì scorso era la Solennità del Corpus Domini, una festa tanto amata dai cattolici “non adulti” quanto aborrita dai progressisti. Sì perché per loro l’Eucarestia è fatta per essere mangiata e non contemplata e meno che mai portata in processione per le vie della città in una manifestazione che, fin dagli Anni Settanta, abbiamo con le nostre orecchie sentito definire «trionfalista». La verità è che il Corpus Domini richiama potentemente la presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucarestia ed è questo dato di fede ad essere entrato in crisi.

In Torino fu il dimenticato e vituperato arcivescovo Giovanni Saldarini a volere – scandalizzando molti preti – che nella città del Miracolo Eucaristico, il giovedì del Corpus Domini, si svolgesse la processione da lui presieduta fino in cattedrale.  Con i suoi successori la processione andò, alla maniera ecclesiastica, lentamente modificandosi per infine scomparire ed è rimasta famosa la ramanzina che il cerimoniere di allora rivolse ai fedeli in cattedrale che avevano osato intonare il Tantum Ergo davanti al Santissimo. L’esempio però viene dall’alto. Sono ancora in molti a ricordare come durante il giovedì del Corpus DominiRoma vivesse una delle manifestazioni religiose più sentite e partecipate, la grande e affollata processione eucaristica che, dopo la Messa sul sagrato di S. Giovanni in Laterano celebrata dal Santo Padre, percorreva via Merulana raggiungendo S. Maria Maggiore dove lo stesso pontefice impartiva poi la Benedizione solenne. Chi non ricorda gli sguardi oranti di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI fissi sull’Ostensorio? Dal 2013 con papa Francesco la musica è cambiata, cioè finita e il Corpus Domini – il cui permanere crea imbarazzo ai liturgisti – è sulla via del ridimensionamento per diventare una memoria facoltativa di second’ordine come il Preziosissimo Sangue o il SS. Nome di Gesù.

Qualche eccezione c’è ancora ed è da segnalare. Un esempio è Tortona dove la diocesi di monsignor Guido Marini ha emesso questo comunicato: «Domenica 11 giugno, solennità del Corpus Domini, Mons. Guido Marini, celebra in Cattedrale alle ore 10. Per l’occasione sono sospese tutte le celebrazioni liturgiche nelle parrocchie cittadine. Sono invitati i parroci, i sacerdoti, i religiosi, i bambini della Prima Comunione, i membri delle Confraternite, delle associazioni e dei movimenti, i ministri della Comunione, il gruppo di adorazione della Cattedrale, i bambini del catechismo, le autorità civili e militari della città e tutti i fedeli per una testimonianza d’amore al Santissimo Sacramento. Al termine si snoderà la processione per le vie del centro che si concluderà in piazza Duomo con la Benedizione Eucaristica».

Ancora nel 1953 quel Miracolo Eucaristico che un comunicato curiale definisce come «leggendario», fu celebrato in Torino con un congresso eucaristico concluso da una apoteosi di folla immensa che da piazza Castello a piazza Vittorio accompagnava in processione il SS. Sacramento retto dal beato cardinale Alfredo Schuster. Nostalgia dei tempi di cristianità e di trionfalismo? Anche. Soprattutto però di quando la fede non era probabilmente ancora adulta come oggi ma sicuramente salda e di popolo.

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Qualcuno si ricorda di don Danilo Piras, il giovane parroco di Altessano che, di punto in bianco, qualche mese fa comparve in un video con tanto di mozzetta e berretta annunciando agli sbigottiti fedeli di lasciare la parrocchia e di ritirarsi in meditazione? Da allora fu accolto in episcopio con generosità dall’arcivescovo per un periodo di decantazione. Adesso è ricomparso per salutare in chiesa i suoi parrocchiani con un look completamente mutato: via la talare e i merletti sostituiti con camicione d’ordinanza con zip e scarpe da ginnastica, indice che la “riabilitazione episcopale” ha dato i suoi riconoscibili frutti. Ma non solo sul piano estetico. Nel saluto don Danilo si è scusato di essere andato via in malo modo e di aver dato ascolto ad un cattivo consigliere di cui si era fidato, non parlando invece chiaro con chi aveva il compito di guidarlo. Tutto è bene quello che finisce bene ma forse se la pecorella tornata all’ovile rivelasse il nome del cattivo pastore staremmo tutti più attenti.

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Mercoledì scorso l’arcivescovo ha tenuto, nella sua qualità di teologo, una conferenza presso la facoltà teologica sul tema: “Mistero e comunione: l’ecclesiologia di Joseph Ratzinger”. È stata una brillante esposizione della originalità e della profondità del pensiero ecclesiologico di papa Benedetto. Ogni punta è stata smussata, ogni tensione o contraddizione, ogni polemica spenta. Anche il discorso di Ratisbona, che tanti contrasti suscitò all’epoca, è stato considerato – giustamente – come il risultato di un fraintendimento. Nel complesso una bella apologia da parte ci colui che fu il curatore dei famosi «libretti» offerti a Benedetto XVI in cui compariva il suo più acerbo avversario Peter Hünermann. Che pensi al cardinalato? Sicuramente al dopo Bergoglio. Ma ormai tutti pensano al dopo…

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Ieri sono stati ordinati in cattedrale quattro nuovi preti e presto li vedremo avviati come vicari nelle parrocchie. Scommettiamo che una di queste sarà Grugliasco?

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Si è chiusa la fase diocesana per la causa di canonizzazione del Servo di Dio, cardinale Anastasio Ballestrero (1913-1998) che fu arcivescovo di Torino dal 1977 al 1989 e del quale ricorre il 25° anniversario della morte. Si è invece inspiegabilmente fermata la causa di un altro Servo di Dio torinese, quella di monsignor Giovanni Battista Pinardi (1880-1962) vescovo ausiliare e parroco di S. Secondo. Sembra che il suo profilo non fosse abbastanza “conciliare”, essendo morto nel 1962. Della partecipazione di Ballestrero al Concilio – allora Superiore generale dei Carmelitani – sarà comunque interessante parlare. Famosa una battuta che fece ai sacerdoti torinesi venuti a trovarlo al monastero di Bocca di Magra dove si era ritirato negli ultimi anni: «Le strutture e gli organismi che stanno creando nelle diocesi ci seppelliranno».

Credits: foto della Convocazione diocesana di Andrea Pellegrini (La Voce E il Tempo)

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