GRANA PADANA

Lega senza più popolo (dei gazebo) militanti in fuga dal partito di Salvini

L'ordine di scuderia è minimizzare, ma il crollo degli iscritti è drammatico. Qualche mese fa era stato il responsabile organizzativo Panza a lanciare l'allarme. Nella madre patria lombarda il calo è del 44%. In Piemonte non va meglio: -28%. Attivisti delusi e demotivati

Via Bellerio, abbiamo un problema. “Bassa percentuale dei rinnovi delle tessere”, l’allarme ai piani alti della Lega era suonato già ai primi di giugno e a lanciarlo era stato, l’eurodeputato Alessandro Panza che nel ruolo di responsabile organizzativo del partito, più di chiunque altro aveva il polso della situazione. E il battito era flebile. Più due mesi dopo, quell’allarme non solo è parso più che giustificato, ma addirittura i dati sugli iscritti sono peggiori delle più cupe previsioni e raccontano di una parte considerevole del popolo dei gazebo che ha fatto perdere le sue tracce nei registri. Se ancora si cercano tracce dell’annunciata estate militante del Pd di Elly Schlein, sul fronte opposto si sono perse quelle di tanti militanti, orgoglio e granitico sostegno del partito di Matteo Salvini.

Oggi, nelle chat tra i capataz leghisti, lo stesso Panza sembra cercare di sminuire la portata del fenomeno, ricordando un calo dei rinnovi attorno all’8% negli ultimi anni e contestando dati che risultano, invece, tanto reali quanto nefasti per uno dei pilastri su cui si regge un partito e quello di Salvini, fondato da Umberto Bossi proprio sulla partecipazione attiva dei militanti.

Impietosi a dir poco i numeri, proprio laddove la Lega ha origini e radicamento (oggi messo a dura prova): in Lombardia le tessere accusano un calo vertiginoso del 44%, superando tutte le altre regioni del Nord, dove il Veneto che alle ultime elezioni ha premiato più il Doge Luca Zaia con la sua lista che non quella del partito accusa un decremento di iscritti del 26%, cifra che si può ritenere bassa se rapportata non solo alla regione (ri)governata da Attilio Fontana, ma anche all’Emilia-Romagna dove la perdita è del 43%. Non va certo bene neppure dove nasce il dio Po, le cui sorgenti sono aride come i numeri degli iscritti in Piemonte: meno 28%. È quanto risulta dai 23 bilanci del 2022 delle varie ramificazioni territoriali del partito, sotto la voce di “quote associative annuali”.

Ottenere dati certi è impresa ai limiti dell’impossibile e lo si può anche comprendere visto l’imbarazzo che quei numeri provocano in un partito il cui popolo dei gazebo si sta riducendo, facendo aumentare quei mal di pancia interni mai del tutto sopiti, ma mai arrivati al punto da porre in discussione linea e leader. In Piemonte l’unico a conoscere la consistenza della truppa è Ivan Orsi di Alessandria, sorta di braccio destro e factotum del segretario (e capogruppo alla Camera) Riccardo Molinari, praticamente la sua ombra. Ma scucirgli qualche informazione è impresa impossibile. Gli ultimi numeri, quelli comunicati al congresso di Chivasso, sono piuttosto approssimativi: circa 1.300 iscritti, tra militanti e sostenitori. Saperne di più è impossibile.

Parlano, però, i bilanci dello scorso anno da cui è facile ricavare quel buco nero nelle tessere. L’annus horribilis, come ammesso da Panza ai vertici, è stato il 2022, a suo dire a causa del Covid. Quello in corso sarà migliore? L’allert lanciato a giugno dal responsabile organizzativo è eloquente e, cifra più cifra meno, è difficile immaginare un grande recupero durante l’estate e, soprattutto, rispetto a cifre che in qualsiasi forza politica è arduo se non impossibile ripianare nel giro di un anno. Certo, ci sono alcune regioni, tra le quali spicca il Friuli-Venezia Giulia di Massimiliano Fedriga, insieme a Liguria e Calabria dove gli iscritti sono cresciuti e proprio all’attuale presidente della Conferenza delle Regioni si guarda periodicamente come a un possibile successore, in un dopo Salvini che una débâcle alle europee lasciando la Lega sotto la soglia critica del 10% potrebbe rendere meno impossibile. 

La linea del Capitano che non è estranea alla riduzione delle truppe resta sempre il nodo irrisolto e l’origine dei malesseri. Non solo l’aver spostato l’asse a destra, tentando invano il sorpasso di Giorgia Meloni proprio su quel fianco, ma ancor più l’aver trasformato il movimento, come spiega più di un leghista deluso, in un partito personale e verticistico, accentrando ogni decisione, non poteva che condurre a una disaffezione da parte di quei militanti pervasi da un senso di inutilità.

Congressi rinviati più volte e poi, quando finalmente celebrati, ridotti in molti casi – tra cui quello per la segreteria regionale in Piemonte –, a un’acclamazione dell’unico candidato, benedetto dal Capo. Una strada in discesa, come quella percorsa da Riccardo Molinari nella sua riconferma, che tuttavia potrebbe stringersi a impervia mulattiera proprio per la stessa ragione: la decisione dall’alto. È stato così quando Molinari era a un passo dal diventare presidente della Camera, si è ripetuto in altre occasioni e con altri protagonisti.

La sensazione che, per dirla con il “dissidente” lombardo Paolo Grimoldi, ultimo segretario della Lega in Lombardia prima della nomina a coordinatore di Fabrizio Cecchetti da parte di Salvini, è quella non solo di non parlare più di “padroni a casa nostra”, ma di non esserlo neppure più dentro al partito. Di “geniale svolta nazionalista e negazionismo sul Nord”, scrive con amaro sarcasmo Cuore Verde (nom de plume che cela certamente non un estimatore del leader) vagheggiando iniziative politiche di rinascita padana. Lo scorso anno, dopo la sospensione imposta dalla pandemia, era rinata Pontida. Lo storico appuntamento tornerà tra un mese, il 16 e 17 settembre. E già sono partite le richieste a ciascun eletto (dal parlamentare al consigliere comunale) di un contributo “suggerito” di 700 euro. “I costi ci sono – spiegano dai vertici – è aumentato tutto”. Meno che gli iscritti.

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