REGOLE DEL GIOCO

Regionali, i (con)dannati del listino.
Meno posti blindati per chi vince 

La nuova legge elettorale lega l'elezione dei candidati nel maggioritario al risultato della coalizione perdente. Se il centrodestra stravincesse perderebbe la metà della top ten. Quasi certa l'esclusione degli ultimi tre. Allarme nella maggioranza

Neppure confidando nella parabola evangelica, gli ultimi del listino possono esser certi di potersi beatamente sedere sui banchi di Palazzo Lascaris. La questione è di quelle che, frettolosamente, potrebbero essere annoverate tra i tecnicismi da addetti ai lavori e invece sta agitando non poco i partiti del centrodestra, aggiungendo un elemento in più sul già affollato tavolo delle trattative per le prossime elezioni regionali. 

In effetti, la posta in gioco è tutt’altro che trascurabile: posti che fino all’ultima tornata elettorale, quella che nel 2019 ha riportato il centrodestra al governo del Piemonte, erano blindati nel vero senso della parola, adesso con le modifiche della legge elettorale sono decisamente meno sicuri. Anzi, con un meccanismo all’apparenza paradossale, più la coalizione vincente incamera seggi nel proporzionale, ovvero nei collegi, meno eletti vedrà tra i dieci della lista maggioritaria legata al candidato presidente, a tutti nota come listino.

Uno scenario che, com’è facilmente intuibile, rivoluziona e confonde schemi consolidati per anni nei partiti, abituati a piazzare in quella top ten figure che si voleva a tutti i costi nella compagine consiliare, spesso pure in giunta, anche a fronte di un loro scarso appeal sugli elettori o per difficoltà ad essere eletti in collegi ostici.

Fino all’introduzione delle nuove norme, l’unica preoccupazione per i dieci era quella di vedere la vittoria del loro candidato presidente, per il resto potevano dormire sonni tranquilli. Assai agitati si prospettano invece quelli di chi oggi ha il giustificato timore di vedere la sua posizione nella lista proporzionale come una condanna quasi certa a restare fuori dall’assemblea di via Alfieri. Le nuove regole prevedono infatti una soglia di garanzia per le minoranze, complessivamente intese, indicata in 20 consiglieri sui 50 complessivi e per raggiungere tendenzialmente quell’obiettivo nel caso in cui i seggi della coalizione sconfitta siano inferiori, si pesca sull’altro fronte erodendo, appunto, il listino. Un esempio può essere d’aiuto: nel caso in cui l’alleanza perdente arrivi a conquistare 18 seggi nei collegi, gli ultimi due del listino del candidato presidente vincente restano fuori. E così, aumentando la differenza di seggi necessari ad arrivare a 20, con un limite: il travaso non può superare la metà del listino. Insomma, da dieci che erano, i veramente blindati di fronte a qualsiasi risultato emerga dalle urne, saranno soltanto 5.

Certo, per arrivare a questa circostanza, fortemente penalizzante per la coalizione vincente, quest’ultima dovrebbe ottenere un risultato dal voto attorno o superiore al 60%. Assai più concreta, alla luce dei sondaggi e delle prospettive, è l’eventualità che il listino di Alberto Cirio perda due o forse tre potenziali consiglieri, depennati partendo dall’ultimo. Ecco perché è già scatenata la bagarre per occupare i primi cinque posti e, pure i due successivi, che sempre ipotizzando un successo, ma non così travolgente, potrebbero salvare la ghirba.

Guardando alle ultime due tornate elettorali, quella che ha portato Cirio alla presidenza e quella precedente che consegnò la guida a Sergio Chiamparino, in entrambi i casi se fosse stato in vigore l’attuale sistema, dei dieci del listino sarebbero rimasti fuori gli ultimi due, mentre sempre per riferirsi alla consultazione elettorale del 2019 a fronte di 22 eletti nel proporzionale dal centrodestra e 18 dal fronte avversario la norma allora vigente attribuì i 10 del maggioritario alla coalizione vincente, lasciando a 18 le opposizioni. A sintetizzarla in battuta, si può dire che se si stravince, lasciando anche ben al di sotto e quindi irraggiungibile la soglia dei venti seggi le minoranze, a perdere sarebbe proprio il listino, che in quel caso sarebbe tagliato a metà.

Sondaggi, proiezioni e altri dati da una parte e, sullo stesso tavolo, l’elenco dei dieci. Così si prospetta la non facile trattativa nel centrodestra. Dando, potenzialmente, per salvi i primi sette, ma con la matematica certezza solo per la cinquina, chi si prende gli ultimi posti? Già la ripartizione di quei dieci nomi è da tempo un problema di cui si discute, sia pure senza i crismi della formalità e più con abboccamenti e annusando l’aria che tira tra gli alleati. Con la non nascosta intenzione da parte di Fratelli d’Italia di far valere anche e soprattutto lì, in attesa della composizione della giunta, il suo aumentato peso alla luce delle politiche, delle amministrative e pure dei sondaggi, rispetto a Lega e Forza Italia. Sarà il partito di Giorgia Meloni a sobbarcarsi uno o più dei posti destinati a non tramutarsi in seggio, magari in cambio di un maggior numero nella cinquina blindata? E come si muoverà la Lega che, tra l’altro, ha necessità di garantire l’elezione di alcune figure, l’astigiano vicepresidente Fabio Carosso in primis, con scarsa o nulla probabilità di essere elette nel proporzionale visti i collegi dove è praticamente impossibile vedere attribuito il seggio? E, ancora, Forza Italia cui i ragionamenti di questi ultimi tempi attribuiscono un poco più che diritto di tribuna nel listino, accetterà posizioni senza scampo o con forti probabilità di esclusione?

Un rischio che, nei partiti, può essere in parte mitigato con “salvataggi” tramite i due posti di sottosegretari, così come in parte per le supplenze dei consiglieri nominati assessori, ma che non riduce la portata del problema all’interno del centrodestra. Un alleggerimento della tensione e dei possibili contrasti interni, potrà probabilmente arrivare da una decisione che avrebbe in animo lo stesso ricandidato presidente. Molto impegnato nella sua lista “civica”, dove tutti i candidati dovranno correre a incassere preferenze, potrebbe rinunciare a piazzare anche un solo suo uomo o donna, tra i dieci, lasciando di fatto il listino ai partiti. E alle loro trattative, di fronte allo scenario dove più vinci e più perdi posti che ormai, almeno in parte, non possono più dirsi blindati.

print_icon