VERSO IL VOTO

Piemonte alla sfida delle Europee rischia di restare a bocca asciutta

Per contrastare l'egemonia lombarda servono nomi di peso. Nel 2019 gli eletti della regione erano stati soltanto tre. Al prossimo giro la prospettiva è decisamente peggiore. L'Europa tanto citata e invocata potrebbe essere ancora più lontana da Torino

Un’Europa, quella che uscirà dalle urne il prossimo anno, ancora più lontana dal Piemonte e viceversa, di quanto non lo sia già oggi. A dispetto dell’insistente e certamente convinto riempirsi la bocca citando Bruxelles, il rischio di rimanere a becco asciutto quanto ad eletti è un’eventualità che sfiora la certezza. Non c’è soltanto uno scenario profondamente mutato rispetto al 2019, incominciando dai pesi dei partiti all’interno del centrodestra e proseguendo con i rivolgimenti nella principale forza politica della sinistra, a rendere plausibile una Caporetto del Piemonte nella partita europea. I segnali, o se si vuole le probabili scelte delle forze politiche per quanto riguarda la seconda regione per elettori della circoscrizione Nord-Ovest, sono anche altri e non pochi.

Non molti sono oggi i piemontesi nell’europarlamento. Sui 20 assegnati alla citcoscrizione che comprende  LombardiaPiemonteLiguria e Valle d’Aosta, la pattuglia subalpina è ridotta a quattro, anche se il voto di quattro anni fa era stato ancora più avaro. A Strasburgo andarono due per la Lega, la cuneese Gianna Gancia e l’ossolano trapiantato a Milano Alessandro Panza e uno per i Cinquestelle, Tiziana Baghin, genovese stabilitasi ad Alessandria. Poi grazie alle dimissioni di Pierfrancesco Majorino il Pd riportò in Europa una veterana come Mercedes Bresso, sulla cui mancata rielezione, nonostante fosse stata la più votata nella sua regione, presentò pure un ricorso. Ma fu poi la discesa in campo di Majorino alle regionali lombarde ad aprire a un ulteriore, seppur parziale, mandato in Europa per la zarina. Smentendo qualche rumors e forse pure qualche tentazione, al prossimo giro non si ripresenterà, dicono dopo esserci sincerata di non vedere in lista Sergio Chiamparino, che certamente avrebbe smentito il fattore anagrafico come gentile invito a farsi da parte nel segno del cambiamento.

E a cambiare rispetto ad allora sono numeri e percentuali segnano ormai un’era geologica rispetto al 2019. Nel Nord-Ovest il partito di Matteo Salvini, oggi a forte rischio di restare al di sotto del 10% sul piano nazionale, superò di sei decimali il 40, lasciando Fratelli d’Italia al 5,6% e Forza Italia che aveva ancora il suo leader-fondatore Silvio Berlusconi candidato all’8,7%. Il Pd incassò il 23,5% e i Cinquestelle l’11,1. Cifre, come detto, tutte da riscrivere tenendo sempre a mente due fattori importanti: il voto proporzionale, ovvero ciascuno corre per sé e, non meno rilevante il voto di preferenza. Da qui la necessità di avere candidati acchiappavoti, strategia che ad oggi s’intravvede poco o per nulla in Piemonte, trasversalmente a tutte le forze politiche. 

Va, tuttavia, osservato come questo non valga in maniera uguale per tutti i partiti. Nei dati del 2019 l’indice di preferenza, ovvero il rapporto tra i voti raccolti dai candidati e quelli della lista, racconta come gli elettori più propensi a scrivere il nome sulla scheda fossero quelli di FdI con il 21,6%, tallonati da quelli di Forza Italia (che all’epoca aveva Berlusconi in lista) col 23,3, poi quelli del Pd (il18,6%) e solo il 13,8% di elettori della Lega, davanti a quelli dei Cinquestelle fermi al 10%.

Atteggiamenti che certamente dovrebbero pesare, ancor prima che nei seggi, proprio nella composizione delle liste. E qui, premesso che giochi e decisioni si fanno a Roma, il Piemonte sembra al momento imboccare una strada tutta in salita per evitare il baratro di cui si diceva. Nel partito di Giorgia Meloni, naturalmente favorito e predestinato a conservare se non ulteriormente rafforzare la sua leadership nel centrodestra, i nomi pesanti che parevano destinati a ribilanciare almeno in parte la predominanza lombarda sono, uno via l’altro, spariti dal potenziale ruolo di candidato. Non ci sarà il ministro della Difesa Guido Crosetto, corazzata quanto a preferenze tanto più nella sua terra. Sfumata pure l’ipotesi di una corsa verso Strasburgo dell’attuale questore del Senato Gaetano Nastri, ras meloniano del Novarese, mentre aleggia la possibilità di una capolistatura per il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso in predicato, lui padovano, anche per il Nord Est, la partita fraterna del Piemonte parrebbe doversi assegnare a Federica Barbero Invernizzi, non proprio una carneade, ma non certo un nome noto al di fuori della cerchia fraterna e comunque lontano dal poter vincere anche dietro le linee lombarde come sarebbe stato agile per il gigante di Marene. Non sarà facile, ma vista la potenza di fuoco elettorale di FdI, quella della Barbero Invernizzi potrebbe essere una delle, pur scarse, possibilità per il Piemonte di avere uno dei suoi in Europa.

Possibilità che, restando nel centrodestra la Lega, i cui seggi stando ai sondaggi e alle ultime consultazioni rischiano di ridimensionarsi molto, pare affidare all’uscente Panza, assai piemontesizzatosi in questi anni (tanto da accarezzare l’idea di prendere il posto di Enrico Montani alla guida del partito del Vco), ma il suo appeal nelle preferenze anche e soprattutto Oltreticino non è ritenuto da molti della sua stessa forza politica, rassicurante. E poi sembra che Salvini intenda puntare molto, insieme al partito lombardo, sugli altri uscenti tra cui spicca Angelo Ciocca e pure il vicepresidente del gruppo Marco Campomenosi. Addio a Brexelles per Gancia, destinata a tornare sui banchi del Consiglio regionale con un posto nel listino del presidente Alberto Cirio. E a proposito di Cirio, la sua ormai pressoché certa ricandidatura toglie a Forza Italia un atout notevole per la rappresentanza piemontese in Europa, che a questo punto resterà un miraggio. Ci proverà con scarse possibilità l'ex governatore leghista (da qualche anno trasmigrato nelle fila azzurre) Roberto Cota.

Non si presenta meglio lo scenario sul fronte avverso. Ancora non si sa cosa voglia fare Elly Schlein, tra l'ipotesi di avere tutte  donne capolista o quella di presentarsi lei ovunque. Molti i nomi che circolano, uno su tutti quello di Cecilia Strada, per il Nord-Ovest dove resta in standby la candidatura della vicepresidente del partito Chiara Gribaudo, cuneese al terzo mandato a Montecitorio. Da vedere la sua forza elettorale non essendosi finora mai cimentata con le preferenze, mentre dalle sue parti circola una perfida battuta secondo cui "Chiara potrà fare la parlamentare finché ci saranno i listini bloccati, che altrimenti non esce neanche a Borgo San Dalmazzo". Se tutto il Pd piemontese si mettesse pancia a terra a suo sostegno, per lei la strada potrebbe farsi meno ripida, ma questa ipotesi le fu offerta molti mesi fa, sarà ancora valida? 

Più incognite nel partito di Giuseppe Conte che, pur mutato, conserva una genetica distanza dal voto di preferenza. Un aspetto che, paradossalmente, può essere d’aiuto anche a chi non è poi così noto, come i precedenti insegnano. L'orientamento dell'ex premier pare quello di piazzare offrendo garanzie di elezioni personaggi esterni al movimento, figure di rilievo nazionale e, se possibile, di presenza televisiva.

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