GIUSTIZIA

Salone del Libro, indagini del pm Colace: "Deserto probatorio, pregiudizio verso la politica"

A pronunciare la severa reprimenda è il difensore di Fassino: Francesca Violante, avvocato e figlia dell'ex toga rossa Luciano. Intanto, mentre i vari processi istruiti dal magistrato torinese si sgretolano lui deve difendersi al Csm nel procedimento disciplinare

Un pm prevenuto verso la politica. Mentre davanti alla sezione disciplinare del Csm deve difendersi nel procedimento disciplinare per le intercettazioni illegittime a carico dell’ex senatore Stefano Esposito, Gianfranco Colace riceve una severa reprimenda al processo sul Salone del Libro, in corso a Torino. A pronunciarla è l’avvocato Francesca Violante, figlia dell’ex toga rossa e per anni politico di primo piano della sinistra ed ex presidente della Camera, nella sua veste di difensore di Piero Fassino. Per il parlamentare Pd ed ex sindaco di Torino la procura ha chiesto la prescrizione.

“Sulla posizione del mio assistito – ha detto in aula Violante – c’è un deserto probatorio”. Fassino era accusato di turbativa d’asta per il bando di gara aggiudicato alla Gl Events in relazione all’edizione della kermesse letteraria del 2015 e quello anche del triennio 2016-2018. Un altro capo di imputazione, sempre per turbativa d’asta, riguardava invece i bandi predisposti nel marzo 2016 per fare entrare tra i soci della fondazione Intesa Sanpaolo. Secondo l’avvocata di Fassino l’inchiesta del pubblico ministero Colace avrebbe reso palese un pregiudizio della procura nei confronti della politica, che per l’accusa avrebbe necessariamente agito non nell’interesse della città, ma dei privati.

Nell’udienza precedente Colace aveva chiesto di dichiarare la prescrizione, oltre che per i reati contestati all’ex sindaco, anche per quelli dell’ex assessore regionale alla Cultura Antonella Parigi e aveva chiesto la condanna a 9 mesi per Giovanna Milella, che sostituì Rolando Picchioni alla guida della Fondazione per il Libro, un anno per i tre revisori dei conti e dieci mesi per il commercialista autore del documento contabile che per l’accusa fu redatto commettendo il reato di falso in bilancio.

Come noto, il pubblico ministero sta affrontando il procedimento disciplinare avviato dalla sezione del Csm mentre il 21 novembre sarà la volta della Corte costituzionale a dover sciogliere i nodi delle conversazioni ascoltate e utilizzate nell’ambito dell’attività investigativa e processuale. Intercettazioni registrate senza chiedere l’autorizzazione a Palazzo Madama. Si tratta di 130 telefonate usate e cinquecento quelle agli atti del processo contro Esposito e contro l’imprenditore Giulio Muttoni, a sua volta oggetto di 23.748 intercettazioni. E pensare che il 10 novembre 2017 Colace, interrogando proprio Esposito, diceva: “Ci sono queste intercettazioni – in quel momento tre in tutto – che, nel caso in cui ci dovessimo determinare in un certo senso, occorre chiedere ovviamente al Senato l’autorizzazione per l’utilizzazione, altrimenti nei suoi confronti non sono utilizzabili”. Peccato però che l’autorizzazione non sia mai stata chiesta. A difendere Colace la Procura di Torino si è affidata a Marcello Maddalena, oggi avvocato ma prima di andare in pensione procuratore capo e uno dei leader della magistratura piemontese, che definisce “occasionali” e “indirette” le intercettazioni.

Intanto, il processo più importante, quello che vede Muttoni ed Esposito accusati di corruzione e traffico di influenze, è appena stato trasferito per competenza a Roma e dunque la parola passa al pm della Capitale che dovrà di nuovo, se lo riterrà, proporre il rinvio a giudizio degli indagati eccellenti. Insomma, a otto anni dalle prime registrazioni disposte a Torino, si torna daccapo o quasi. 

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