RIFORME

Autonomia, Lega nella tenaglia

Avvertimento di Forza Italia: senza copertura per i Lep, niente riforma. Salvini stretto tra le tensioni del Sud e l'attesa del Nord. Il testo Calderoli legato al premierato voluto da Meloni. Alle viste un escamotage. Cirio potrà sbandierare l'autonomia senza imbarazzi

“No money no party”. A guastare la festa alla Lega pronta a brindare, Roberto Calderoli nelle vesti di Ganimede, all’autonomia regionale rafforzata non c’è solo il perfido avvertimento del governatore della Calabria Roberto Occhiuto. Le ragioni per far crescere le preoccupazioni ai vertici del partito di Matteo Salvini con il suo totem federalista sempre meno saldo, non c’è più soltanto (si fa per dire) la freddezza sul tema da parte di Fratelli d’Italia, ma si aggiunge pure in un’imprevista manovra a tenaglia lo stato maggiore di Forza Italia.

La versione del claim pubblicitario rivista da Occhiuto, viene declinata e rafforzata dalle parole dell’ex vestale di Arcore Licia Ronzulli: “Bisogna evitare che si siano cittadini di serie A e di serie B”, con evidente riferimento alle temute disparità tra Nord e Sud in assenza di quelle risorse citate dal governatore calabrese e che sono la questione principe che rischia di frenare la riforma Calderoli. Se non si trova il denaro per finanziare i Lep, i livelli essenziali di prestazione, per appianare le disparità territoriali, la bandiera autonomista resterà mestamente avvolta all’asta, con tutto quel che ne potrà conseguire per la Lega nel voto europeo, ma anche nelle elezioni che lo precederanno o che saranno, come in Piemonte, contestuali. Il bastone forzista è pronto a infilarsi nelle ruote del carroccio e lo fa intendere con chiarezza anche il capogruppo di Forza Italia alla Camera Paolo Barelli quando spiega che “se l’autonomia differenziata non è ancora andata in porto è perché Forza Italia finora ha tirato il freno per evitare la sproporzione dei servizi tra Nord e Sud”. Lo stesso Sud dove il partito guidato da Antonio Tajani non ha alcuna intenzione di cedere quella parte di elettorato che ancora conserva per andare dietro a Salvini, il quale annusando l’aria che tira lontano dal Nord ben si guarda, così come ha fatto nei giorni scorsi in Meridione, dal parlare di autonomia, preferendo concentrare i suoi interventi sul ponte sullo Stretto. 

Insomma, quella che per Calderoli resta ancora la battaglia delle battaglie rischia apparire ancor più ciò che in effetti è, ovvero merce di scambio per la riforma verso il premierato voluta da Giorgia Meloni, nonostante più d’una smentita tra cui quella del presidente della commissione Alberto Balboni (FdI): “Non c’è nessun baratto o scambio tra autonomia differenziata e il premierato”. Rischia di diventare pure una possibile trappola tesa dagli alleati a Salvini. Così mentre il suo ministro per gli Affari regionali saluta l’arrivo in Aula del testo, definendo il voto favorevole in commissione come “un ulteriore passo avanti per una riforma di buonsenso, che si pone l’ambizioso obiettivo di garantire i servizi e ridurre i divari tra aree del Paese nel segno di trasparenza, responsabilità, efficienza e buona amministrazione”, la Lega pare sempre più stretta ai fianchi dagli alleati. Non proprio un abbraccio.

Sei mesi di discussione, 58 audizioni, 67 documenti ricevuti, 69 sedute, 649 emendamenti presentati di cui 385 votati e 83 approvati dei quali 49 delle opposizioni. Questi i numeri del non facile percorso della riforma votata pure, a titolo personale, dalla parlamentare di Azione e già ministro Mariastella Gelmini. Una strada su cui si para forse l’ostacolo più grande, quello delle risorse. Dalle Regioni del Sud cresce l’allarme soprattutto per materie come Sanità e Scuola e lo stesso presidente della commissione di esperti che ha lavorato sui Lep, il costituzionalista Sabino Cassese nel corso della sua ultima audizione in Parlamento ha posto l’accento sulla complessità e la necessità di reperire i fondi necessari per finanziare i livelli essenziali di prestazione in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Impresa non semplice, soprattutto non rapida. E i tempi stringono, dettati dalle date delle elezioni.

Al Veneto il “Doge” Luca Zaia si compiace: “«Dopo un immobilismo che non sembrava riservare nulla di buono e soprattutto negava il rispetto alla volontà espressa dai cittadini non solo veneti con l’esecutivo in carica si stanno succedendo tutti i passaggi necessari per la riforma”. Il governatore della Lombardia, Attilio Fontana esorta: “Autonomia il prima possibile per una maggiore efficacia dei servizi pubblici e risposte più concrete alle esigenze delle loro comunità territoriali, da sud a nord, per tutti coloro che hanno il coraggio di mettersi in gioco e prendersi responsabilità”. A questi presidenti, ma non di meno al tessuto imprenditoriale, Salvini dovrebbe e vorrebbe portare l’autonomia prima del voto, onorando la promessa a quel Nord tolto dal simbolo, ma che resta il più grande e storico bacino di voti per il suo partito. Un impegno non facile a onorare senza pericolosi strappi con il Sud e, soprattutto, con la tenaglia di FdI e Forza Italia pronta a stringere la Lega cui non resta che sperare in un’approvazione del testo di riforma separato dai complicati e onerosi Lep. Un escamotage utile a superare la contraddizione di una legge di bilancio che lo scorso anno prevedeva i livelli essenziali senza aggravi di spesa e lo schema attuale che invece mette in conto costi non poco elevati. Ma anche a rendere più facile continuare a sostenere l’autonomia, sventolando la bandiera come cinque anni fa, per quei governatori azzurri come Alberto Cirio arciconvinti della bontà della riforma, senza imbarazzi rispetto agli avvertimenti dei vertici del partito alla Lega.

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