PISTOLA TRICOLORE

"È stato Pozzolo a sparare"

Le versioni agli atti di due testimoni concordano: al momento dello sparo l'arma era in mano al deputato di Fratelli d'Italia. Lui continua a sostenere di non aver premuto il grilletto. E attacca Fini che ieri gli ha dato del balengo: "Una medaglia, ha svenduto la destra"

Il colpo è partito quando l’arma era nelle sue mani. La situazione di Emanuele Pozzolo, il deputato piemontese di Fratelli d’Italia dalla cui pistola è stato esploso il proiettile che la notte di Capodanno ha ferito il 31enne Luca Campana, sembra complicarsi. Nella relazione dei carabinieri, infatti, dall’incrocio dei verbali degli interrogatori risulta che due testimoni affermino che a sparare sia stato proprio Pozzolo. Gli investigatori escludono che possano essersi messi d’accordo, sia perché sono stati ascoltati subito dopo il fatto, sia perché hanno ruoli diversi. L’identità dei due testi viene mantenuta riservata, ma già in precedenza un altro testimone, un agente di polizia, aveva dato la medesima versione: “Era allegro, ha tirato fuori la pistola senza che nessuno glielo avesse chiesto e all’improvviso è partito lo sparo”. E anche la vittima, Luca Campana, giovane elettricista genero di Pablito Morello, caposcorta del sottosegretario Andrea Delmastro, aveva smentito il deputato dichiarando di non aver mai toccato l’arma e presentando querela. Pozzolo sarà sentito ancora una volta dalla procura di Biella dopo che, con tempi ancora non noti, arriveranno dal Ris di Parma gli esiti dell'esame dello Stub, l’esame per cercare tracce di polvere da sparo, effettuato sulle sue mani e sui suoi abiti. Vestiti non consegnati però agli investigatori. È indagato per lesioni colpose, accensioni pericolose e omessa custodia di armi.

Pozzolo, da parte sua, continua a sostenere di non essere stato lui a sparare. Ma secondo quanto riferisce il Corriere della Sera “agli atti dell’indagine ci sono verbali che lo smentiscono in maniera netta”, e “sono tre le persone che raccontano di averlo visto tirare fuori la pistola e mostrarla”. Se il primo ha raccontato di essere uscito dalla sala prima dello sparo, gli altri due erano ancora lì, e hanno confermato che “quando è partito il colpo l’arma era in mano a Pozzolo”. E anche se tutti parlano di un incidente, senza esitazioni, nei verbali, puntano il dito contro il parlamentare di FdI, attualmente “sospeso” dal partito di Giorgia Meloni in attesa del pronunciamento degli organi disciplinari interni.

Il caso, dunque, è tutt’altro che chiuso sul piano giudiziario. E ancora tutta aperta è pure la querelle politica innescata dalla presenza di Delmastro al cenone di San Silvestro a Rosazza, nel Biellese, comune del quale è sindaco la sorella del sottosegretario, Francesca Delmastro. Il pugno di ferro mostrato dal premier e leader di FdI Meloni nei confronti di Pozzolo non basta a placare le opposizioni, come si è visto con l’interrogazione del Pd con la quale non solo interpellano sulla vicenda i ministri dell’Interno Piantedosi e alla Giustizia Nordio ma chiedono di fare chiarezza sulla “qualità degli eventuali legami tra il sottosegretario Delmastro e gli ambienti della polizia penitenziaria piemontese”.

Intanto, sul piano politico Pozzolo ieri sera ha replicato ai giudizi, non propriamente lusinghieri, espressi da Gianfranco Fini nei suoi riguardi in un’intervista al Foglio. “Medaglie che appunto al petto. Da quello che ha svenduto e calpestato dignità politica e umana della destra italiana non accetto lezioni. Un leader che ha tradito senza vergogna la sua comunità politica merita solo di continuare a stare ibernato nel suo oblio…”, sono state le sue parole. “Quando ero presidente di An lo allontanammo, senza nemmeno espellerlo, dalla federazione di Vercelli perché era un violento estremista verbale. Il suo caso non finì sulla mia scrivania, ma se ne occupò Donato Lamorte, capo della mia segreteria politica. Capimmo che era un balengo, come si dice in Piemonte, e lo accompagnammo alla porta: via, andare”, ha raccontato l’ex presidente della Camera. Pozzolo, dopo essere stato messo alla porta di An, militò per un breve periodo in un movimento di destra ispirato a Jan Palach, lo studente antisovietico che si diede fuoco in piazza San Venceslao, a Praga, nel 1969, simbolo della Primavera dell’allora capitale cecoslovacca. Avvicinatosi alla Lega, nelle cui liste venne eletto come indipendente nella sua Vercelli, fu allontanato bruscamente dall’allora ras locale, Gianluca Buonanno che in più occasioni lo definì un “virus da allontanare”. Poi il ritorno “a casa”, con la nascita di Fratelli d’Italia. Dal 2019 allo scorso aprile è stato assessore a Vercelli nella giunta di centrodestra del sindaco Andrea Corsaro, esponente di Forza Italia, suo padrino di battesimo e ora suo difensore.

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