SACRO & PROFANO

La "cura fallimentare" di Repole

Bilancio tra luci e ombre del primo biennio alla guida delle diocesi di Torino e Susa. Un approccio empatico che però sembra accompagnare la rassegnazione di una Chiesa declinante e sulla via della "protestantizzazione". Un pagliaccio sull'altare - VIDEO

Lo scorso 19 febbraio è stato il secondo anniversario della nomina episcopale dell’arcivescovo Roberto Repole sulle cattedre di Torino e di Susa. Un tempo certamente breve per tracciare un bilancio, ma sufficiente per intuire la direzione del suo episcopato. Il primo anno è stato di “assestamento”, non solo per lui come guida della Chiesa subalpina, ma anche come “piazzamento” dei suoi amici in tutti i posti chiave della diocesi. Dopo un iniziale, quanto fallace, tentativo di generale consultazione del clero, per offrire una parvenza di partecipazione alle scelte, si è manifestata, in maniera palese a tutto il presbiterio, la linea dell’arcivescovo e del gruppo che lo attornia la quale, oggi possiamo dirlo, è quella di molti altri suoi colleghi italiani: la cura fallimentare. Un governo che non pensa più ad una «nuova evangelizzazione» o ad un incremento delle vocazioni, ma si occupa di formare presunti laici-ministri, che possano sostituire le Messe festive, per tenere in piedi una presunta Chiesa in decadenza. Non va sottaciuto comunque un elemento positivo dell’umanità dell’arcivescovo che, paragonato a chi lo ha preceduto, certamente brilla come stella del firmamento: un uomo capace di sorridere, di guardarti in faccia quando ti parla, che dice frasi di senso compiuto e che, qualche volta, è anche simpatico.

La simpatia che egli però ispira nasconde una linea teologica molto chiara, che si declina sul piano ecclesiologico. La Chiesa non è, e non deve essere, il Corpo mistico di Cristo, che ne realizza la presenza salvifica del mondo, ma piuttosto una comunità debole, di credenti deboli, anzi umili, imbevuti di pensiero debole, che non sanno dove andare, ma che semplicemente si affiancano agli uomini, in un generico «camminare insieme», verso una imprecisata meta. Non bisogna lasciarsi ingannare poi da belle frasi come: «Il fascino irresistibile del Vangelo», ripetute come un mantra, da tutti i “boariniani”; se il Vangelo non diventa vita, evidenza storica, cultura, pubblica affermazione di Cristo e di ciò che esso porta e significa, il suo fascino si riduce ad una sentimentale emozione, priva di impatto sui singoli e sulla realtà. Due conti veloci dimostrano come, già nel prossimo anno, saranno poco più di 100 i sacerdoti al di sotto dei 75 anni, nella fascia da 70 a 75 si consuma gran parte del resto del presbiterio.

Questo biennio da “cura fallimentare” non prospetta nulla di buono per la Chiesa: si camminerà verso la continua riduzione dei Sacramenti, verso comunità piccole, “calde”, confortanti e autoreferenziali, verso, di fatto, una chiara protestantizzazione, nella quale il sacerdozio e l’Eucarestia saranno, infine, marginali. Solo il Signore può salvarci soprattutto quando i pastori non mettono al centro Lui, presente nell’Eucaristia, una pastorale vocazionale e un pensiero forte, capace di dialogare realmente e non fittiziamente con la modernità, senza perdere la propria chiara novità cristiana, capace, essa sola, di affascinare anche l’uomo moderno.

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Traditores custodes

Mentre le chiese si svuotano di fedeli, continua la guerra delle gerarchie alla Messa antica. Succede ad Ascoli Piceno dove il vescovo, monsignor Gianpiero Palmieri, vicepresidente della Cei, già vicegerente di Roma e poi spedito ad Ascoli dal papa, nel concedere, dopo molte insistenze, il rito con il Messale di San Giovanni XXIII (che ogni domenica un prete partendo da Roma viene a celebrare) ha voluto spiegare quanto esso sia carente, se non nocivo per la salute delle anime. In esso, infatti, predomina il silenzio durante il canone (nella Divina Liturgia ortodossa il celebrante scompare addirittura agli occhi dei fedeli), vi sono solo due letture e in più non si può modificare nulla, inoltre la musica dell’organo pare proprio inadatta e antiquata.

Ma mentre si combatte contro la Messa antica che sarebbe così cattiva, su un altro versante la tolleranza è massima. Succede nella Germania del sinodo dove, in un video che ha fatto il giro del mondo, si vede sull’altare di una chiesa cattolica un pagliaccio scatenato che si dimena al ritmo indiavolato del “Ballo del qua qua” mentre i fedeli ricevono l’Eucaristia, naturalmente non dal celebrante – che magari è quello travestito da pagliaccio – ma da una attempata pia donna che, si spera, sia almeno ministra straordinaria. In questo caso, circa il silenzio durante la Messa, il vescovo non ha nulla da puntualizzare. Va tutto bene.

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