Ma che sciopero, per Mirafiori serve un CLN
Claudio Chiarle 06:00 Martedì 05 Marzo 2024
Sostenibilità e transizione ecologica significano processi produttivi in cui ridurre l’impatto ambientale e si rispetti la persona che lavora. Questa è la sfida, ad esempio, per produrre batterie per l’auto elettrica. Sfida complessa perché la Cina controlla la maggior parte dell’attività estrattiva, soprattutto in Africa, di litio e cobalto: le condizioni sociali e di lavoro in quei Paesi a oggi sono al di sotto di standard accettabili. Amnesty International denuncia come l’estrazione del cobalto sia collegato a violazioni dei diritti umani così come il lavoro minorile nella Repubblica Democratica del Congo. Anche sul litio Amnesty denuncia problemi ambientali, in particolare in Cile, Argentina e Bolivia, i tre Paesi dove viene estratto maggiormente e si usano elevate quantità d’acqua con conseguente abbassamento delle falde e desertificazione. Infine, le lavorazioni delle batterie sono in gran parte concentrate in Cina, Corea e Giappone. A oggi l’Europa è abbondantemente indietro con le sue gigafactory, compresa l’Italia. Quindi credo che, come sindacato, non possiamo porci solo il problema dello “sfasciacarrozze” con il riciclo delle auto a fine vita ma nella nostra storica ottica internazionale, che oggi però non vede i Paesi africani come partner privilegiati, considerare tutto il processo produttivo. Sarebbe un bel salto di qualità.
La seconda analisi è data dal rapporto Deloitte dove, teoricamente, l’Italia ha un altissimo interesse per le motorizzazioni alternative (78%) ma tende verso i modelli ibridi e minimo sui full-electric (BEV) con il 4% di mercato reale. Significa che, non solo in Italia, il consumatore, cioè, il mercato ricerca ancora “le prestazioni di un motore tradizionale”. In questo senso, anche i bio-carburanti e i carburanti sintetici, a impatto zero, indurrebbero il 52% dei consumatori a rinunciare all’elettrico. In sintesi, gli italiani si dimostrano “technology-neutral” riguardo le soluzioni di mobilità purché siano in grado di limitare l’impatto ambientale”.
Alla domanda “Quale auto comprereste in futuro” gli automobilisti dei Paesi che non sono i maggiori produttori di BEV rispondono ancora all’incirca il 50% con auto diesel o benzina e soprattutto ibrido. I consumatori dei Paesi produttori di auto full electric rispondono in maggioranza elettrico ma preferendo l’ibrido. Solo in Cina primeggia il BEV essendone il maggior produttore mondiale con il 60%, guarda caso.
Per l’Italia vale il detto di un famoso sindacalista che “predichiamo bene ma razzoliamo male” e quindi penso che la strada delle molteplici alimentazioni vada tenuta aperta chiedendo all’Europa nella verifica 2026 di inserire anche l’uso di carburanti derivanti da biomasse, scarti alimentari e vegetali nonché l’uso del bi-fuel lasciando al mercato di indicare la strada che sarà prevalente. Certo, l’industria dell’auto ha investito molto, sollecitata dall’Europa, nel campo della mobilità elettrica e quindi è giusto che ci possa essere un indirizzo prevalente ma non esclusivo, d’altra parte l’Italia deve porsi il problema dell’approvvigionamento dell’energia elettrica e quindi il nucleare va preso in seria considerazione.
Allora veniamo a Mirafiori con la terza riflessione. Credo che il problema sia certo di mission, non solo legata al numero di auto da produrre ma anche ai modelli considerando quale alimentazione e quale segmento garantisce maggiore continuità produttiva sapendo che dobbiamo fare i conti con una multinazionale che ha circa 50 stabilimenti nel mondo. Di questi 27 sono in Europa e di cui 17 li ha portati in dote Psa. Quindi abbiamo sicuramente un problema di eccesso di fabbriche europee e quindi di saturazione degli stabilimenti che diventa una concorrenza interna feroce.
Come difendiamo Mirafiori, uno stabilimento ormai sovradimensionato, tra 27 competitor? Con una proposta territoriale forte e coesa andando oltre le ideologie e i ruoli che potrebbero sembrare contrapposti ma non lo sono. Il lavoro è di tutti: del lavoratore, dell’imprenditore, della politica, di chi offre servizi e produce reddito e benessere per tutti.
La proposta, unitaria, dello sciopero oltretutto a aprile mi solleva dubbi e perplessità, in particolare nella mia casa: la Cisl.
Se si vuole fare davvero un’alleanza sul territorio per difendere un bene comune come Mirafiori, non si propone uno sciopero ma un’iniziativa che possa attrarre anche i soggetti sociali più distanti. Un passo indietro per farne due in avanti (così rovesciamo anche il titolo del saggio di Lenin del 1904) significa uscire dagli schemi classici del sindacato, in particolare Cgil e Fiom, lo sciopero come priorità per, invece, proporre un’iniziativa a cui nessun soggetto sociale possa sottrarsi.
Il modello torinese sono le iniziative Sì Tav, capisco che la Cgil non avendovi partecipato, unico soggetto sociale, abbia un problema politico ma quello schema è davvero l’unico che possa dare una dimostrazione di unitarietà e presenza in piazza di tutti. Oggi si decanta la ritrovata unità sindacale ma il problema non è quello bisogna ricercare l’unità d’azione del territorio metropolitano e regionale. Oltretutto non capisco la posizione della mia casa, la Cisl. Non scioperiamo unitariamente sul tema della sicurezza sui luoghi di lavoro, esprimiamo posizioni diverse da Cgil e Uil su quasi tutti i temi e poi promoviamo uno sciopero unitario tra un mese e mezzo senza fissare una data e senza frapporre iniziative partecipative come è caratteristica della Cisl. Perché non si è previsto un cammino, un percorso che arrivi tra un mese a un’iniziativa che non abbia un’etichetta che esclude ma sia includente?
La categoria dei metalmeccanici unitariamente pensa davvero che tutti i soggetti sociali sfileranno in un corteo targato, etichettato e rinforzato dagli studenti e dai centri sociali? Nemmeno il ruolo della Confederazioni viene valorizzato in questo frangente.
Un passo indietro per farne due in avanti sarebbe affidare alle istituzioni locali – Comune, ambito metropolitano, Regione – insieme a un comitato di “difesa e rilancio del territorio” fatto da tutti i soggetti sociali (sindacati, imprese, commercianti, politica bipartisan, associazionismo, studenti) per convocare una manifestazione al sabato con tutta la cittadinanza.
Praticamente occorre costituire un C.L.N. per Mirafiori.
Purtroppo, non si è capito che l’iniziativa già egemonizzata ha altre finalità, bastava leggersi almeno un quotidiano in questi giorni in cui Landini lancia la mobilitazione nazionale permanente insieme a decine di associazioni contro il premierato, l’autonomia differenziata e quant’altro. Ci vuole poco a capire che lo sciopero a data da definire verso metà aprile cioè a un mese e mezzo dalle elezioni europee e regionali serve alla Cgil per altri scopi a cui noi, sindacati, ci siamo accodati. D’altra parte, se le iniziative unitarie sono sempre accompagnate da un’intervista al segretario della Cgil regionale, mi chiedo dove siano e quale livello di attenzione abbiano Cisl e Uil e i suoi addetti stampa. È ben chiaro che la proposta ha una sua valenza e egemonia che mette Mirafiori nel calderone della strategia movimentista a guida Cgil non dandolo più come prioritario: uno strumento ma non il fine con buona pace dei lavoratori.
Eppure, bastava seguire la falsariga del tavolo convocato dal sindaco di Torino che ha tracciato la strada riunendo attorno al tavolo più soggetti interessati a Mirafiori. Bastava che un sindacalista avesse proposto al sindaco di allargare ulteriormente quel tavolo, bastava un ruolo confederale attivo, capace di andare oltre l’unità sindacale dei veti. Ci vuole un atto di coraggio sindacale per andare oltre il sindacato mischiandoci con gli altri. Chi ha un po’ di coraggio alzi la mano.