REGIONALI 2024

Arrosticini sulla griglia d'Abruzzo

Dalle urne di oggi potrebbe dipendere gran parte dei destini delle due coalizioni. Una seconda sconfitta, dopo la Sardegna, sarebbe un duro colpo per Meloni. E Salvini sta messo peggio. Se vince il campo largo chi li tiene più Schlein e Conte? Così in Piemonte...

L’Abruzzo va al voto per scegliere il governatore e rinnovare il Consiglio ma dalle urne di questa piccola regione potrebbe uscire un risultato destinato a incidere profondamente sugli equilibri politici nazionali dei prossimi mesi. Dopo il risultato a sorpresa in Sardegna, che ha visto imporsi per una manciata di preferenze Alessandra Todde, espressione del campo largo PD-M5s, provocando uno scossone all’interno della maggioranza di governo del Paese, la tornata elettorale abruzzese sembra configurarsi come un match decisivo: una sorta di gara di ritorno di una finale di Champions, con la squadra giallorossa in vantaggio per 1-0. A contendersi lo scranno più alto di Palazzo Silone all’Aquila sono il presidente uscente, Marco Marsilio, sostenuto da tutto il centrodestra (FdI, Lega, FI, Noi Moderati, Udd e Democrazia Cristiana con Rotondi e la lista civica Marsilio Presidente) e lo sfidante, Luciano D’Amico, appoggiato da una coalizione di tutte le forze di opposizione (Pd, M5s, Azione, Alleanza Verdi e Sinistra con Democrazia Solidale, Italia Viva, Psi, +Europa e la lista civica Abruzzo Insieme).

S’ODE A DESTRA UNO SQUILLO DI TROMBA – Una sfida secca a due one to one che non lascia margini: questa sera uscirà un vincitore e uno sconfitto. Se la Sardegna è stata lo scricchiolio, l’Abruzzo sarebbe il tonfo. Perché nella corsa alla rielezione di Marsilio, Giorgia Meloni ha investito molto di suo, sia di politico che di personale. Basta un breve elenco a dare l’idea: è il suo collegio di elezione, è la terra che ha dato a Fratelli d’Italia il primo governatore della sua storia quando ancora la strada per Palazzo Chigi era lontana, e poi il candidato è un amico fraterno, cresciuto con lei alla scuola politica di Colle Oppio. Non è un caso, insomma, se tra i meloniani si consideri l’Abruzzo – tra il serio e il faceto – come una succursale di via della Scrofa. Per questo, quella abruzzese è una sfida che la presidente del Consiglio semplicemente non può permettersi di perdere.

Le differenze con il caso Sardegna sono molte, troppe perché sia possibile trovare eventuali alibi di fronte a una sconfitta. In questo caso, infatti, non c’è il voto disgiunto, non ci sarebbe un Paolo Truzzu che potrebbe personalmente addossarsi la colpa del flop, né si potrebbe dire che la candidatura è arrivata all’ultimo minuto. Marsilio è l’uscente e, paradossalmente, è proprio nella storia elettorale di questa terra che si potrebbe trovare un mezzo capro espiatorio: l’Abruzzo, infatti, finora non ha mai concesso il bis a nessun presidente di Regione. È vero, in questo caso il centrosinistra è riuscito a costruire un unico campo larghissimo attorno alla candidatura di Luciano D’Amico, ma nemmeno puntare il dito – come Meloni ha fatto durante il comizio di Pescara – sui leader della fazione avversa che “si vergognano” a dire che stanno insieme, potrebbe bastare a costituire una via di fuga. Sarà forse per tutte queste ragioni che intorno alla premier si dicono fiduciosi sull’esito di queste elezioni, anche se si ammette che nelle ultime settimane il divario tra i due sfidanti si è molto accorciato. Meloni allontana da sé il rischio domino dell’effetto Sardegna e si dice “ottimista”. Ma per sicurezza ha spedito ministri e parlamentari in lungo e in largo in Abruzzo a raccontare quello che il governo ha fatto e i soldi che ha stanziato per la Regione e due settimane prima del voto si è premurata di far approvare dal Cipess i fondi per la ferrovia Roma-Pescara. E le infrastrutture, insieme alla sanità, sono i due temi caldi su cui si è giocata la campagna elettorale.

È per tutte queste ragioni che una eventuale sconfitta difficilmente potrebbe essere raccontata come un insuccesso del candidato. Ma nemmeno della coalizione nel suo complesso. I tre leader del centrodestra non hanno mancato di presentarsi tutti e tre insieme per un comizio a sostegno di Marsilio, ma la competizione interna ai partiti della maggioranza cresce inevitabilmente di giorno in giorno man mano che si avvicinano le Europee, ossia la sfida che, sull’altare della legge proporzionale, porterà tutti a contarsi a quasi due anni dall’inizio del governo. Ed è proprio per questo che mentre si dichiara che “si vince assieme e si perde assieme” sono tutti pienamente consapevoli che magari il successo si potrà anche condividere ma il tonfo sarà sulla testa di uno solo. E per l’Abruzzo quella testa è quella di Giorgia Meloni. Gli scossoni degli ultimi mesi, soprattutto causati dalle corse a distinguersi del leader della Lega, con ogni probabilità si moltiplicherebbero se per due volte di seguito, in meno di un mese, un candidato con il marchio meloniano doc dovesse perdere la sfida elettorale per la presidenza della regione.

Matteo Salvini è preso tra due fuochi, uno quello della competizione con la “nana bionda” – come con i suoi sfotte la premier – l’altro interno, mostrando di patire quelle trame che alle sue spalle ormai un pezzo dello stato maggiore del Carroccio sta ordendo. Un altro tracollo nelle urne abruzzesi, surclassato da una Forza Italia guidata dallo smunto Antonio Tajani, dopo il flop sardo, segnerebbe un brutto presagio in vista delle Europee, dando maggior vigore alla fronda interna. In più, sul groppone del Capitano pesa la tenuta complessiva della coalizione: “Con una Lega sotto il 5% Marsilio è sconfitto”, affermano quasi unanimemente analisti e osservatori. Alle Regionali del 2019 il Carroccio in Abruzzo ottenne il 27,5% e nello stesso anno alle Europee raggiunse l’ormai mitologico 34,3%. Alle Politiche il partito di Salvini nella regione si è fermato poco sopra l’8%.

C’è sempre, ovviamente, la possibilità di dire che si tratta di un voto locale e che Palazzo Chigi è un’altra cosa. Peccato che a questa bubbola non creda nemmeno la Meloni che in più di una occasione, da quando è a capo del governo, ha ribadito quella che è una sua convinzione da sempre: il voto amministrativo, con le debite valutazioni sul peso delle dinamiche locali, è sempre anche un giudizio sullo stato di salute del governo.

A SINISTRA RISPONDE UNO SQUILLO – Dall’altra parte del campo, quello largo, ovviamente confidano in un bis della Sardegna. In questi giorni si è fatta strada l’idea che “l’effetto Todde” possa aiutare a colmare il divario e così dare una grande mano alla costruzione di quell’alleanza che nei diversi territori continua a trovare ostacoli, dalla Basilicata (dove potrebbe essere siglata l’intesa con il passo indietro di Angelo Chiorazzo) al Piemonte (regione in cui si misura l’ostracismo di Chiara Appendino). Una vittoria anche in Abruzzo permetterebbe a Elly Schlein di prolungare quella tregua interna che si era incrinata sul terzo mandato e che è stata nuovamente imposta dal risultato sardo. Ma sarebbe anche una conferma per la linea “testardamente unitaria” che rivendica ogni giorno, nonostante la ritrosia di Giuseppe Conte.

Il leader M5s non rinuncia a incalzare il Pd, anche se adesso anche lui parla con più decisione della necessità di costruire un’alleanza. “Sono testardamente votato a costruire un’alternanza rispetto a questo governo”, ha detto giovedì sera in tv, riecheggiando l’avverbio che usa sempre la segretaria dem. Ovviamente sempre ribadendo che l’accordo può nascere solo “sulla base di principi e progetti seri e condivisi che ci consentano non solo di vincere ma di cambiare il Paese”. Ma, appunto, Conte ribadisce anche la distanza che lo separa dal Pd: “Sulla politica estera c’è molto da discutere”. L’avvocato appulo non risparmia nemmeno un accenno malizioso alle divisioni tra i democratici, sottolineando che “c’è una svolta che voglio sottolineare: Schlein ha detto che non appoggeranno questo patto di stabilità e crescita. È una convergenza importante perché da subito ho denunciato che questo patto, nonostante abbia dietro anche Gentiloni, sarà un disastro per l’economia, e il Pd lo ha compreso”. Uno schiaffo, visto che il commissario europeo ed ex premier Paolo Gentiloni è l’ospite principale dell’evento odierno a Milano “Energia popolare”, l’area di Stefano Bonaccini. Schlein sa che i prossimi tre mesi, fino alle europee, saranno decisivi per poter restare al Nazareno e proprio per questo è fondamentale uscire bene dalla tornata elettorale. Del resto, dal punto di vista aritmetico i sondaggi le stanno timidamente sorridendo ed è convinta che alla fine tutti dovranno prendere atto della forza dei numeri. E se i numeri fossero benevoli anche in Abruzzo si presenterebbe alle europee con due regioni strappate alla destra, un “bottino” non da poco.

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