VERSO IL VOTO

Regionali, Italia viva e divisa. Marattin: Cirio scelta migliore 

Mentre Fregolent procede verso l'alleanza a sostegno di Pentenero, il suo collega deputato segna le distanze. E tra gli iscritti cresce il malcontento. "Perché non fare come in Basilicata?". Le critiche alla gestione del dossier Piemonte: "Nessuno mi ha interpellato"

Accusa Alberto Cirio di aver trasformato la Regione in una pro loco, di essere ostaggio dell’assessore di Fratelli d’Italia Elena Chiorino e di molto altro ancora. Quanto basta a Silvia Fregolent per indirizzare senza indugi Italia Viva in Piemonte verso il sostegno alla candidata del Pd Gianna Pentenero. I primi approcci ci sono già stati e il finale, dettagli a parte, pare ormai scritto. Ma nel partito di Matteo Renzi non tutti concordano su questa linea, avendo preferito un’alleanza con il governatore uscente. E succede  non solo tra gli iscritti da cui si continuano a registrare lamentele, ma anche da figure di rilievo nazionale. È il caso di Luigi Marattin, deputato eletto in Piemonte, il quale non fa mistero della sua visione diversa, non senza muovere qualche pungenti critica a come viene gestita la questione.

Onorevole Marattin, lei in un recente post, sostiene che nelle elezioni regionali, a meno che non siano candidati fascisti o populisti, occorre scegliere il profilo più adatto e più vicino a una sensibilità liberal-democratica e ha citato Vito Bardi e Alberto Cirio. In Basilicata Italia Viva sosterrà il governatore uscente, perché non è possibile farlo anche in Piemonte? 
«Guardi, il mio ragionamento è piuttosto semplice. Le elezioni regionali sono di tipo maggioritario a turno unico. Significa che non hai alternative: devi scegliere per forza uno dei due schieramenti. Purtroppo, aggiungo. Se presenti una candidatura terza, prendi l’uno o il due per cento, come accaduto in Puglia, Veneto, Friuli. O se scegli un candidato che ha una lunga storia politica personale, come Renato Soru o Letizia Moratti, puoi arrivare a 8-9% senza tuttavia neanche avvicinarti mai a essere competitivo e, nel caso della Sardegna, senza comunque neanche entrare in consiglio regionale. Puoi schierare anche Superman: ma la natura della competizione maggioritaria a turno unico rende impossibile ogni soluzione alternativa. E se non vuoi rinunciare per anni o decenni a stare nelle istituzioni, dove si decide la vita democratica di una comunità, devi avere la forza e il coraggio di scegliere».

In che modo?
«Se si facesse una scelta ex-ante, aprioristica e valida per tutte e 20 le regioni italiane - stiamo dappertutto col centrodestra o stiamo dappertutto col centrosinistra - significherebbe fare una scelta di campo nazionale: perché si sceglierebbe un campo non sulla base della specificità locale e delle caratteristiche del candidato, ma sulla base di un preciso e definitivo posizionamento politico nazionale. Ma mi risulta che non sia questa la ragione sociale di Italia Viva, perlomeno stando a quanto da anni diciamo praticamente tutti i giorni. Noi, a livello nazionale, siamo alternativi agli attuali schieramenti. Per cui rimane una sola alternativa: di volta in volta scegliere, per condizionarlo in senso liberale, il candidato meno lontano dalla nostra identità politico-culturale. Se in Emilia-Romagna si sfidassero Stefano Bonaccini e Galeazzo Bignami non avrei il minimo dubbio a sostenere Stefano. In Basilicata ho condiviso la scelta di sostenere un moderato come Bardi invece di ficcarci in un guazzabuglio dove si indicavano candidati che rispondevano “si va bene ma non fatemi fare campagna elettorale che c’ho da fare”. Nel mio tweet, che poi era la risposta al solito populista che ci accusava di esserci messi con i fascisti, mi chiedevo solo ad alta voce perché lo stesso ragionamento fatto in Basilicata non debba valere in Piemonte».

La candidata del Pd Pentenero dopo il mancato accordo con i Cinquestelle ha avviato incontri con Italia Viva. È sufficiente, a suo avviso, l'assenza dei Cinquestelle per motivare l'adesione? 
«I Cinque Stelle stanno bullizzando il Pd. A livello locale, fanno alleanze solo se il candidato è il loro, altrimenti vanno da soli. A livello nazionale, tutte le volte che possono, fregano il Pd, come nel caso dell’elezione dei componenti della commissione parlamentari di vigilanza su Cassa Depositi e Prestiti: al voto segreto si sono messi d’accordo con la destra per fregare il candidato designato del Pd e eleggere uno dei loro. E il Pd, puntualmente, abbassa la testa e dice “fai di me ciò che vuoi”. Un atteggiamento che si adatta più al masochismo che non alla politica. Ma tornando alla sua domanda, no, per come ragiono io, la presenza o l’assenza di qualcuno non è mai condizione necessaria e sufficiente per sposare un progetto politico, sia a livello nazionale che locale».

Se si fosse realizzato il campo largo lei avrebbe sostenuto la necessità di non aderirvi, scegliendo invece una figura moderata come quella di Cirio?
«Io sono un po’ all’antica: quando si parla di scelte politiche importanti, preferisco esprimere le mie posizioni prioritariamente nelle sedi politiche opportune. Se mai vi saranno. Perché finora non c’è stata alcuna riunione di organismi dirigenti di Italia viva regionale in cui mettere in una stessa stanza dirigenti e iscritti, guardarsi in faccia e discutere liberamente su cosa pensassimo fosse meglio fare. Su come costruire un percorso che portasse ad una scelta il più condivisa possibile. Si sono svolte diverse assemblee regionali, una o due al mese, però dedicate all’approfondimento di singoli temi, dall’agricoltura alla montagna, passando per la cultura. Iniziative meritorie, soprattutto agli occhi di chi come me pone prioritaria attenzione ai contenuti. Tuttavia, penso sarebbe stato opportuno iniziare, per tempo, un cammino di confronto schietto e meditato, per poter giungere insieme alla soluzione più politicamente fattibile e meno divisiva possibile. Nessuno mi ha fatto, parlamentare eletto in Piemonte, un colpo di telefono o inviato un whatsapp per chiedermi il parere o anche solo per informarmi delle grandi strategie in corso. Però mi sono tenuto informato leggendo i giornali».

Ad aprile a Tortona lei sarà insieme a Enrico Costa a un incontro pubblico. È la presenza ormai assai probabile di Azione nella lista civica di Cirio a far propendere una parte di Italia Viva per l'adesione al centrosinistra? 
«Le ripeto, non so se sia stata decisa l’adesione di Italia Viva al centrosinistra e, nel caso, non so in quale sede politica sia stata presa questa decisione e quando vi sarebbe stata una discussione al riguardo. La mia opinione la dirò in quella sede se, ripeto, verrà mai convocata. Per quanto riguarda Azione, la mia opinione è conosciuta: ritengo che la rottura consumatasi ormai un anno fa sia stata una sciagura politica senza precedenti, se escludiamo l’avvento dei Cinquestelle, che ha buttato al vento, per ora, l’opportunità di costruire un polo liberal-democratico avente la massa critica sufficiente per attrarre energie e innescare un vero cambiamento nella politica nazionale e locale. Da quel momento in poi, Azione e Italia Viva sono due entità separate e ahimè pure abbastanza conflittuali tra loro. A dispetto del tour che stiamo facendo con Enrico in tutta Italia, dove troviamo ancora entusiasmo e volontà di costruire insieme». 

Quanto incide il voto europeo e la presenza del simbolo nella decisione sull'alleanza a sostegno di Pentenero?
«Ad oggi Italia Viva non ha ancora deciso con quale formato si presenterà alle elezioni europee, se da sola o in una lista di scopo. Dopodiché, si tratta di elezioni molto differenti: maggioritario a turno unico l’elezione del presidente regionale, proporzionale puro quello per le europee. Gli italiani hanno dimostrato di saper scindere, quando si trovano in mano due schede diverse: nel 2014 le liste Pd avevano 20 o a volte pure 30 punti di differenza tra il voto europeo e il voto comunale».

Ritiene ci sia ancora spazio per una riflessione che porti Italia Viva, di cui una parte in Piemonte mostra molte perplessità per la scelta in direzione del centrosinistra alle regionali, verso un sostegno a Cirio? 
«Invecchiando ho imparato ad accontentarmi. Per cui mi piacerebbe quantomeno che ci fosse una sede in cui, a poco più di sessanta giorni dal voto, confrontarci e discutere insieme. Un giorno, ormai molto lontano, mi insegnarono che la politica è questo».

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