LA SACRA RUOTA

Ombre cinesi alle spalle di Elkann.
Urso prepara lo sbarco di Dongfen

Dal Governo fanno trapelare che le trattative per aprire una fabbrica del colosso di Wuhan in Italia sono "molto avanzate". Un calcio negli stinchi di Tavares che a fronte dell'arrivo di un concorrente asiatico aveva paventato chiusure di stabilimenti

Ombre cinesi alle spalle di Stellantis. Le trattative per insediare una fabbrica di Dongfeng Motors sarebbero in fase avanzata e i dettagli dell’operazione già abbastanza delineati: un impianto in grado di produrre 100mila auto all’anno con il coinvolgimento di imprese italiane del settore della componentistica, senza escludere una partecipazione pubblica di minoranza. Insomma, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che nel corso della sua recente missione a Pechino ha incontrato i vertici del colosso di Wuhan, pregusta il momento per assestare uno schiaffone a Stellantis. I noti rapporti “difficili” della compagine sovranista con la multinazionale presieduta da John Elkann, a cui il Governo rimprovera la bassa produzione nei siti italiani e investimenti che non garantiscono il rilancio, con la procedura di golden power su Comau appena avviata, arriverebbero al culmine con l’arrivo di un costruttore cinese, per di più ex azionista ai tempi della fusione fra Fca e Psa. Se l’accordo si dovesse concretizzare si tratterebbe del primo caso di un costruttore cinese pronto ad avviare le sue linee produttive in Italia, dopo le voci di un possibile arrivo di Chery (poi dirottato in Spagna) e di Byd, che ha invece scelto l’Ungheria.

Infatti, alle prime avvisaglie degli abboccamenti Carlos Tavares, il potente ceo franco-portoghese di Stellantis, non si era fatto scrupolo di agitare lo spettro di chiusure di stabilimenti on Italia: “Se qualcuno volesse introdurre la concorrenza cinese, sarebbe responsabile delle decisioni impopolari che potrebbero essere prese – aveva detto senza mezzi termini –. Se siamo sotto pressione, l’unica cosa che potremmo fare è accelerare i nostri sforzi per aumentare la produttività ed essere competitivi. Potremmo non aver bisogno di tanti impianti come quelli che abbiamo ora. Siamo pronti a combattere, ma in una battaglia ci sono delle vittime”. Parole di fuoco che hanno ulteriormente rinfocolato lo scontro con Palazzo Chigi e il Mimit. Parlando a Porta a porta, Urso aveva replicato seccamente: “Siamo tutti consapevoli che con un unico produttore non si può sostenere un indotto così bello e straordinario come quello della nostra componentistica. Siamo l’unico Paese in Europa ad avere un unico produttore. Negli altri Paesi europei ci sono da quattro a sette diverse case automobilistiche che forniscono una pluralità di modelli. Anche noi quindi siamo aperti agli investimenti esteri che vogliono produrre auto, magari a un prezzo accessibile”.

Gli incontri tecnici, che si sono susseguiti in questi giorni, hanno vista impegnata l’unità attrazione investimenti esteri del Mimit e, secondo quanto risulta, entrambe le parti sarebbero molto soddisfatte dei progressi finora raggiunti, anche alla luce del recente sostegno dei governi italiano e cinese. Oltre alla missione di Urso di inizio luglio va infatti ricordato che la scorsa settimana la presidente del consiglio Giorgia Meloni si è recata in Cina per una missione ufficiale a margine della quale è stato sottoscritto un memorandum of understanding tra il ministero delle Imprese e del Made in Italy e Ministero dell’Industria e delle tecnologie di informazione cinese per una cooperazione bilaterale industriale anche sul tema dei veicoli elettrici. Conosciuta come Second Automobile Works fino al 1992, Dongfeng (“Vento dell’Est” in cinese) è stata fondata nel 1969 e le sue origini si trovano in una direttiva dell’allora presidente Mao Zedong: come parte della sua strategia del “Terzo Fronte”, la sua posizione nell’entroterra della provincia di Hubei aveva lo scopo di proteggere la Cina dall’invasione straniera. Ora per la Meloni sovranista è parte del suo “grande balzo” contro gli Agnelli.

Le trattative che guardano al progetto di insediamento produttivo di Dongfeng in Italia puntano anche al coinvolgimento di imprese italiane della componentistica e non è esclusa che vi sia anche una partecipazione di minoranza da parte dello Stato. Del resto, nel “giro” di Dongfeng si parla ultimamente molto italiano. Paolo Berlusconi, tramite la sua holding Pbf, ha acquisito il 10% di Df Italia, quella che dovrebbe essere la filiale del gruppo. Il fratello della buonanima del Cav. ha dato data vita a questa newco in società con la Car Mobility (Cm) srl che fa capo – attraverso la controllante Tailor Finance – a Bruno Mafrici, esperto in mercati internazionali e innovazione, fondatore del gruppo di imprese italiane e svizzere denominate M Management e Bm Advisory, leader nella consulenza finanziaria aziendale per il settore automobilistico. E se al momento la società ha come oggetto “il commercio in Italia e all’estero, l’import/export di autoveicoli” e l’attività di rivendita, secondo fonti qualificate è in realtà la testa d’ariete per avviare la produzione. Al punto che negli ambienti si racconta che per guidare l’impresa sia stato contattato addirittura Alfredo Altavilla, un ventennio trascorso in Fiat fino a diventare il braccio destro di Sergio Marchionne, anche se il manager ha smentito al Corriere l’ipotesi. Il Governo avrebbe offerto alcune opzioni per i siti di produzione: l’ex Maserati di Grugliasco, l’area dell’ex Olivetti di Scarmagno nell’Eporediese, alcune realtà nel Nordest, lo stabilimento Irisbus di Flumeri, in Irpinia.

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