C'ERA UNA VOLTA LA FIAT

Basta il selfie tra Lo Russo e Tavares, Stellantis missing alla Festa dell'Unità

Il destino del gruppo automobilistico pare interessi poco ai dirigenti del Pd subalpino che annacquano la questione in un dibattito su generiche politiche industriali. Che non si voglia disturbare i manovratori? O la rimozione di un passato troppo ingombrante?

Stellantis resta fuori dalla Festa dell’Unità. Nella città della Fiat, degli Agnelli, di Mirafiori. Il partito della sinistra a Torino si occupa di antifascismo, diritti civili, l’immancabile campo largo ma pare aver perso di vista l’industria e più in generale il lavoro, cioè l’alfa e l’omega di quella storia politica nata cento anni fa. Anticaglie di un passato che pare lontanissimo. Un passato in bianco e nero di quando sul palco della kermesse ci saliva Piero Fassino, prima come responsabile Fabbriche e poi in qualità di numero uno della Federazione provinciale, per confrontarsi con Cesare Annibaldi, capo delle relazioni esterne di corso Marconi, l’ex quartier generale della Fiat, orecchio e voce dell’Avvocato.

Quest’anno, invece, alla Festa dell’Unità non ci saranno né Fassino e neanche la Fiat (e pure de L’Unità, a dirla tutta, non si hanno notizie): il primo sembra voglia mantenere un profilo basso dopo il fattaccio del profumo al duty free, mentre le vicende della sacra ruota sono annacquate in un generico dibattito su “Nuove politiche industriali per nuove sfide”, in cui interverranno l’ex ministro Andrea Orlando e l’eurodeputato Brando Benifei. Entrambi liguri, di La Spezia.  

Certo, si dirà, Stellantis oggi non è per Torino quel che era la Fiat nel secolo scorso. Né da un punto di vista occupazionale (dei quasi 60mila lavoratori che nel 1980 producevano 5mila auto al giorno ne sono rimasti la decima parte e lavorano a singhiozzo tra un pit stop e l’altro per cassa integrazione) né rappresenta più, sotto il profilo politico, il simbolo dello scontro tra profitto e lavoro, padrone e operaio. Prima di Fassino su quel palco si erano avvicendati dirigenti storici del Pci come Adalberto Minucci e Lorenzo Gianotti, e con loro sociologi ed esperti del calibro di Beppe Berta e Bruno Manghi, per non dire di Vittorio Risier e Francesco Ciafaloni. In quegli anni la cellula del partito nella fabbrica contava centinaia di iscritti e così Mirafiori diventava fucina non solo di automobili ma anche di una classe dirigente che per mezzo secolo ha guidato la principale forza della sinistra italiana. Un partito in grado da una parte di organizzare la protesta, attraverso picchetti e scioperi, dall’altra di mettere in campo proposte alternative. E oggi?

Trascinato per i capelli dal sindacato alla marcia dello scorso aprile per "salvare" Mirafiori, il Pd sembra aver appaltato la discussione su Stellantis al tavolo istituzionale, quello della concordia tra il sindaco Stefano Lo Russo e il governatore Alberto Cirio, immortalato in quel selfie con il ceo del gruppo Carlos Tavares, che tanto ha fatto arrabbiare i lavoratori. E dire che ce ne sarebbe da dibattere sull’industria dell’auto nella città dell’auto, mentre gli eredi di quel partito governano Torino e i dubbi sul futuro di Mirafiori e dell’indotto si affastellano con i rapporti sempre più tesi tra Stellantis e il Governo. Che ne sarà del piano del ministro Adolfo Urso? Arriverà a Torino un secondo produttore di auto dalla Cina? (Anzi, l’ipotesi sarebbe Grugliasco, nelle ex officine Bertone e poi Maserati, città di cui è stato sindaco l’attuale segretario della Federazione subalpina del Pd Marcello Mazzù). E questo cosa comporterà per Torino e per l’Italia in termini di occupazione ma anche di sviluppo? Qual è su questo argomento la posizione di un partito che si propone come alternativa all’attuale guida di Palazzo Chigi? L’industria automobilistica, in fondo, assieme a quella aerospaziale è tra le poche che ha una filiera di processo e di prodotto ed entrambe potrebbero costituire la ripresa industriale di Torino. Il Pd ha qualcosa da dire? Un progetto? Una idea?

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