RETROSCENA

Se perde Anci rischia pure Torino.
La doppia scommessa di Lo Russo

Un sindaco solo al comando persino nella sua città che però ambisce a guidare l'associazione dei Comuni. A costo di farsi sponsorizzare da Meloni (e Cirio). Ma se gli va male il bis diventa molto più difficile. L'endorsement di Conte per Manfredi e l'ombra di Appendino (in buona compagnia)

In Anci praticamente sono inesistenti: nessun sindaco di grande città, uno solo di capoluogo di provincia (Matera con Domenico Bennardi), una manciata di consiglieri sparsi qua e là spesso eletti in liste civiche. Del resto, per i pentastellati le amministrative sono da sempre un terreno ostico e poco ubertoso. Insomma, l’endorsement pronunciato sabato scorso dal leader M5s Giuseppe Conte in favore della candidatura di Gaetano Manfredi per la guida dell’associazione dei Comuni non è in grado di spostare granché in termini di consenso. La partita, come abbiamo più volte raccontato, si gioca in larga parte all’interno del Pd, dove si intersecano dinamiche territoriali e appartenenze correntizie. Il sindaco di Napoli, figura civica di centrosinistra, è apprezzato per il suo understatement, piace alla segretaria dem Elly Schlein, di cui è stato fin dall’inizio sostenitore, e al suo cerchio armocromista. Inoltre, per i coltivatori del campo largo i trascorsi da ministro dell’ex rettore della Federico II nel governo Conte II, quello giallorosso, sono una medaglia al merito.

Un gradimento, quello verso il primo cittadino partenopeo, che valica il perimetro della coalizione, avendo già incassato il gradimento di Matteo Salvini e di altri esponenti di centrodestra, come il big di Forza Italia Fulvio Martusciello (“Per noi è la scelta migliore”). Ma non quello di Fratelli d’Italia, a partire dalla gran capa Giorgia Meloni per nulla disponibile a cedere una ribalta come l’Anci (con l’annesso ruolo di interlocuzione col governo) a un potenziale concorrente alla guida della Regione Campania (dove vuole il fido Edmondo Cirielli). Da qui l’idea di far leva sulle divisioni interne al centrosinistra e puntare su Stefano Lo Russo: profilo moderato, elettoralmente debole, marginale rispetto ai giri che contano persino nel suo partito (manco i bonacciniani lo sopportano), espressione di quel Nord meno ostico alle riforme e soprattutto più lontano da Roma. Una mossa tattica, quella della premier e leader della fiamma, che ha trovato sponda in Alberto Cirio, cui non par vero di poter rafforzare le sue ambizioni nazionali portandosi a spasso pure nella Capitale il suo sodale della concordia istituzionale. E così il governatore ha lavorato ai fianchi Antonio Tajani e allertato Maurizio Gasparri, il capogruppo azzurro alla Camera che siede al tavolo delle trattative su Anci.

Certo, l’essere il candidato della Meloni qualche problemino deve averlo creato all’inquilino di Palazzo civico se è vero, come riferiscono fonti dem, che si starebbe dando gran daffare per ottenere una presa di posizione pubblica in suo favore di qualche sindaco del Nord, magari tra quei primi cittadini lombardi orfani di Beppe Sala: una cosa è certa, dopo il passo indietro (obbligato) a Palazzo Marino non sembrano fremere per tirare la volata al cugino d’oltre Ticino. Ci penserà Elly, fanno sapere dal Nazareno.

Nell’attesa, però, non sfugge che il caffè bevuto l’altro giorno da Conte con Manfredi sia piuttosto amaro per Lo Russo, e non solo per le vicende dell’Anci. Dietro la scelta dell’ex premier non è difficile scorgere la sagoma di chi Torino l'ha guidata fino al 2021, ovvero Chiara Appendino, numero due del M5s, nemica giurata (e ricambiata) di Lo Russo. Dopo aver disseminato di mine il campo largo alle scorse regionali del Piemonte fino a farlo saltare per aria, l’ex sindaca ha ora un obiettivo: sabotare la rielezione di Lo Russo. Un piano che presto potrebbe condividere con i principali stakeholder della città e alcune influenti componenti del centrosinistra che ormai lo snobbano, negandogli anche quel minimo di bonton istituzionale. Basti pensare che alla festa della Fiom di un mese fa Giorgio Airaudo ha steso il tappeto rosso a Cirio, mentre a discutere della Torino futura c'erano il deputato di Sinistra Italiana Marco Grimaldi e appunto Appendino. Lo Russo non è stato neanche invitato. Se non è questo un indizio. Ad agevolare queste trame c'è poi quella sorta di “autismo politico” che contrassegna la sua sindacatura: persino le missioni all’estero non sono più allargate alle rappresentanze ma sono appannaggio esclusivo del gineceo del Palazzo.

Insomma, se va avanti così saranno i suoi a disarcionarlo, non le opposizioni (inesistenti) che gli opporranno un avversario di pura testimonianza (Augusta Montaruli scalpita). Le avvisaglie già si scorgono: solo nella torre eburnea di via Milano pare non se ne accorgano, convinti che non si possa far fuori un sindaco uscente (irrituale, ma tutt’altro che impossibile). Mancano oltre due anni alle elezioni (il post Covid ci regala un surplus di Lo Russo), come si dice “un’era geologica”, e nessuno può ora dire quale piega prenderanno gli eventi, se il M5s esisterà ancora e se farà parte di questo schieramento a fasi alterne. Ogni cosa ha i suoi tempi e la vicenda Anci potrebbe essere paradigmatica.

print_icon