La stessa lingua di Renzi e Obama

Proveniamo da un mondo dove la passione politica giungeva dall’adesione ad una qualche idea di giustizia e di bene formatasi nell’ambito di una costruzione ideologica o religiosa. Le idee e i giudizi erano espressione più o meno autentica dei valori del sistema a cui si era aderito. Un sistema che valeva da misura e anche da modello di giudizio per le relazioni articolate attraverso il comportamento, la comunicazione e quindi il linguaggio.

Oggi le grandi ideologie del passato non sembrano più sufficienti ad ispirare azioni, a strutturare giudizi e, ancor meno, a suscitare emozioni. Da questo punto di vista, nel caso di Obama e di Renzi, siamo certamente di fronte a un nuovo linguaggio post-ideologico, che esprime un nuovo modello su cui misurare le nostre convinzioni politiche.

Nel film di animazione Inside Out abbiamo visto, in modo divertente e simpatico, come operano le nostre emozioni di base. Gioia, tristezza, rabbia, paura e disgusto, si contendono a vicenda la plancia di comando delle relazioni, e quindi del comportamento e della comunicazione, e della personalità. Ma nel team delle emozioni vi erano due grandi assenti, due emozioni che stanno alla base del nostro essere, come diceva Aristotele, “animali politici”; emozioni che stanno alla base del nostro comportamento sociale e alla base dell’empatia, la nostra capacità di immedesimarci nelle emozioni degli altri esseri (anche verso gli animali). Si tratta di emozioni che promuovono l’intelligenza sociale o la capacità di strutturare relazioni durature nel tempo con i nostri simili: sono il nostro senso del bene e del senso di giustizia. Due sentimenti fondamentali che ci portano l’uno a volere il bene per noi stessi e per i nostri simili; l’altro ad avere un senso di giustizia che ci fa indignare e magari agire di fronte alle cose che valutiamo come ingiuste.

Nel mondo del razionalismo ideologico questi due sentimenti sono considerati come valori astratti da ponderare alla luce di qualche forma di razionalità politica, giuridica o storica. Queste passioni sono, secondo John Rawls, alla base della nostra vita e del nostro senso morale. Sono impulsi elementari che ci consentono di costruire la società, di promuovere il benessere attraverso la conoscenza e la scienza. Inoltre ci consentono di formarci una coscienza politica. Alla base della morale e delle scelte politiche troviamo queste emozioni, che si combinano, con giustificazioni più o meno razionali, attraverso le nostre relazioni costruite sulla comunicazione personale e pubblica.

Fondamentale diventa allora, nella ricerca di un nuovo linguaggio per le relazioni politiche, saper stare bene sulla plancia delle proprie emozioni e non lasciarsi trascinare dagli argomenti di coloro che sono interessati a far muovere non i nostri sentimenti morali, ma quelle emozioni di base che generano sentimenti di paura, rabbia disgusto e quindi l’odio e la rassegnazione. Per questo è importante valutare tenendo a bada le emozioni “tristi” (tracciandogli un cerchietto intorno, come fa la protagonista di Inside Out), per fare largo a quelle emozioni che sono alla base dei nostri sentimenti morali e dei nostri valori sociali; emozioni che ci inducono a promuovere relazioni positive che si esprimono attraverso l’ascolto, l’attenzione; che si aprono alla speranza e alla volontà di migliorare attraverso il cambiamento, nella coscienza, in quanto “animali politici”, che la democrazia non è altro che un metodo per migliorarsi e portare avanti il cambiamento attraverso la gestione positiva dei conflitti.

Anche se per i più affezionati alla tradizione razionalista e delle ideologie può assomigliare alle tecniche retoriche del coaching (e perché no, diciamo noialtri “integrati”!), quello di Obama e di Renzi, facendo leva sulle passioni positive, è un linguaggio che nella sostanza vuole trasmettere i valori di quella che era e rimane la mission storica della sinistra in ogni latitudine. Speranza e cambiamento, e arriviamo al punto, il linguaggio di Renzi e Obama è il “linguaggio della speranza e del cambiamento”.

La speranza e il cambiamento: è questa la misura, lo sfondo, su cui le forze progressiste devono costruire le relazioni politiche e il linguaggio in un mondo in cui le ideologie risultano sterili e prive di senso. La campagna referendaria è anche un grande spaccato di un conflitto tra linguaggi. Obama, da grande rappresentante di questa cultura politica, parla all’essere umano nella sua completezza e non soltanto al suo cervello razionale o ideologico. Nel suo sostengo a Renzi ci dice come questi stia sfidando lo status quo, lanciando “una visione di progresso che non affonda le sue radici nelle paure della gente, ma nelle loro speranze”, perché è consapevole che “come nazioni e come individui abbiamo il potere di raggiungere un grande cambiamento”.

Il cambiamento è ciò che da sempre ha perseguito il linguaggio politico della sinistra progressista; di contro al linguaggio della conservazione che, al contrario, si concentra sull’immutabilità del presente e sul “niente di nuovo”. Linguaggio del cambiamento: per le stesse ragioni, e per la stessa cultura, il Pse rivolge un appello a «tutte le forze progressiste» a contribuire al cambiamento «dimostrando la capacità del sistema politico democratico di riformarsi e di apportare soluzioni innovative di cui beneficerà l’intera società».

Obama e Renzi, leader post ideologici, ri-creano, in un nuovo sentire e in un nuovo parlare e comunicare, i valori e le ragioni fondamentali della sinistra, che sono la speranza e quindi il progresso come cambiamento verso una società più equa, più giusta e più libera, nella realizzazione della dignità umana. Sono questi, storicamente, i valori dei riformatori. Un linguaggio che esprime la rinascita per la “passione politica”. Un linguaggio che deve essere sempre fondato su scelte positivamente espresse e che sono ritenute coerenti con i valori propri. Il linguaggio della conservazione, al contrario, fa leva su altri stimoli, su altre emozioni. In particolare la paura, il pericolo; la necessità di proteggersi dalle novità, l’invito costante a diffidare del nuovo e degli altri. La reazione, di suo, vi aggiunge il linguaggio della violenza.

Questi linguaggi, anche quando si riferiscono ai temi ambientali, non appartengono alla cultura di quella sinistra, erede del sogno di Prometeo, che affonda le sue radici nei valori del progresso. Pertanto è importante, nella confusione post ideologica, distinguere con chiarezza i linguaggi di coloro, populisti o meno, che vogliono mobilitare facendo leva sulla paura, sul rancore e sulla disperazione. Chi, anche con riferimenti alla sinistra ideologica, chiama oggi all’impegno diffondendo sentimenti di minaccia e di pericolo, si muove su di un terreno dove ciò che conta non è la “passione politica”, ma la gestione delle paure attraverso la manipolazione: “la politica delle passioni”. Un linguaggio fondato sul rifiuto e non su contenuti positivi da proporre e da indicare come prospettiva.

Il linguaggio della paura, della chiusura è un linguaggio fatto di argomenti che appartengono ad una cultura più affine a quella dei romanzi di Tolkien che alle idee della sinistra. Infatti anche la sinistra ideologica del secolo scorso, nella sua retorica e nel linguaggio, si appellava alla visione del futuro, anche se non sempre in modo pacifico, attraverso il linguaggio della speranza e della ricerca del nuovo, di un nuovo mondo. Non a caso il simbolo di questa sinistra è un sole che nasce e non un tramonto. In definitiva oggi possiamo dire che ci troviamo di fronte a due sinistre: quella col sole che nasce, che sta in modo positivo con la cultura e il linguaggio di Obama e di Renzi; e la sinistra del sole che tramonta, che troviamo sempre più spesso dal lato del populismo e della vecchia ideologia del rifiuto.

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