Populismo e liberalismo dopo Macron

Si sostiene, a ragione, che il conflitto politico tra populismo e riformisti si gioca sull’Europa. Il populismo, nel nostro come nello scorso secolo, si nutre dei conflitti del progresso. In particolare il conflitto tra la natura artificiale delle istituzioni, della tecnica, di contro ad uno stato di purezza incontaminata di cui sarebbe depositario il “popolo”. Come osserva Revelli, il riferimento al popolo muta i termini del conflitto politico in senso “verticale”. Il popolo, nella sua incontaminata purezza, contro una entità che, indebitamente, si pone al di sopra di esso: le istituzioni nel loro insieme, la cosiddetta “casta”. Strumento di lotta è la delegittimazione che, per l’occorrenza, nel nostro paese, diventa propaganda giustizialista.

A questa visione verticale del conflitto, si contrappone quella nata dalla rivoluzione francese, che ha segnato la modernità, e si svolge sul piano orizzontale della cittadinanza, del riconoscimento e della legittimazione; che pone tutti sul piano dell’uguaglianza, rispetto al problema del potere, attraverso la partecipazione democratica. La sinistra riformista si trova spiazzata, e fuori causa, in questa riformulazione del conflitto sociale. Ciò avviene perché la natura della sinistra riformista è di essere strutturalmente dalla parte della storia della modernità, delle tre rivoluzioni (scientifica, dei diritti e industriale) e del progresso che ha creato i diritti sociali e di cittadinanza insieme all’impegno per la loro diffusione universale. Per la sinistra socialdemocratica i conflitti appartengono ai problemi che riguardano una distribuzione più equa della ricchezza e del benessere sociale, diritti sociali, e dei diritti civili e di quelli politici. Una visione a cui sfuggono i termini dei conflitti attuali che, sebbene prendano corpo a partire dalla crisi economica, oggi travolgono i valori e i protagonisti su cui si è realizzato il sogno prometeico del progresso senza fine. Quindi Europa come Occidente, come modernità, progresso, diritti sociali e diritti civili. Europa come eguaglianza, libertà, solidarietà. Una Europa che non si esaurisce nei principi del monetarismo liberista sul debito sovrano.

Non è dunque un caso se Macron, nel saluto per la vittoria, abbia citato l’Illuminismo, e i valori della Rivoluzione Francese, il cui spirito “minacciato” va difeso “ovunque”. Macron ha posto l’Europa dell’Illuminismo al centro del suo disegno per far uscire la Francia dalla crisi economica e dalla crisi di identità in cui è avvolta come e più dell’Italia. Macron è un liberale. Un liberale che, contro gli “utopisti del passato”, crede fortemente nella autodeterminazione dell’individuo: “il progetto che la Francia reca in sé (…) è un progetto vecchio di secoli, (…) Dal Rinascimento al secolo dei Lumi, dalla Rivoluzione americana alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e all’antitotalitarismo, la Francia ha contribuito a illuminare il mondo per liberarlo dal giogo dell’ignoranza, dalle religioni oscurantiste, della violenza negatrice dell’individuo”. Esistono varie forme di liberalismo, utilitarista e liberista o più libertario. Quella di Macron è una forma di liberalismo che ha come perno l’irriducibile autonomia della decisione pubblica rispetto ai fattori unicamente legati all’economia di mercato. “Liberalismo politico”, dove la decisione avviene sotto i vincoli condivisi che riguardano gli interessi di tutti gli aderenti al patto sociale, su cui si fonda la cittadinanza.

Laddove per il liberalismo classico la società è una finzione. Liberalismo costruito sui valori, sulla responsabilità. Principi che rendono possibile una “politica ragionevole”, in grado di farsi carico del miglioramento della condizione della maggioranza promovendo lo sviluppo economico. Liberalismo come impegno morale per una società più equa, da promuovere attraverso lo sviluppo della scienza, della tecnica, delle capacità produttive, dell’economia di mercato. Liberalismo come impegno politico “ragionevole”, per porre rimedio alle contraddizioni e alle disuguaglianze che, inevitabilmente si incontrano nelle curve e nelle oscillazioni del progresso. Un liberalismo senza “ideologia liberale”, ma anche distante dalle ideologie del socialismo (Raymond Aron). Un liberalismo che è una attitudine morale ispirata dall’ottimismo per le sorti dell’umanità. Una attitudine come scelta di responsabilità e impegno, per mettersi in gioco senza la guida delle ideologie. Attitudine che ha la propria stella polare nella convinzione che tutti gli individui godano degli stessi diritti e le stesse libertà nel promuovere la propria vocazione. Macron sposta, ancora una volta, l'asse della conflittualità per contrastare il populismo. Cuore della conflittualità non è la classe, ma è la modernità stessa e, con essa, i valori del secolo dei lumi, lo sviluppo della tecnica che riduce i posti di lavoro creando ricchezza solo per alcuni, perdita della speranza e paura per la maggioranza.

Macron ha salutato la sua vittoria come la vittoria della speranza contro la paura e i suoi eserciti populisti. Una vittoria della libertà contro i nemici della libertà dell’uomo, contro il nichilismo e l’irrazionalismo che scaturisce dalla delusione causata dallo scontro tra le ispirazioni e i fatti. Quella di Macron è la vittoria dell’ottimismo; quell’ottimismo che trova dei valori positivi nella nostra storia. Un ottimismo pragmatico, che crede che l’uomo possa realizzare le proprie aspirazioni attraverso l'assunzione di responsabilità, la ragionevolezza, e così ridare forza alla speranza e alle ispirazioni. Questi sono i valori e l’utopia sociale ed europeista del liberalismo di Macron. Quella di Macron si presenta come una utopia realista, in cui la libertà precede l’uguaglianza (rovesciando l’assioma del marxismo), che diventa uguaglianza nelle opportunità che possano consentire a chiunque, indipendentemente dalle condizioni di nascita, di essere “diverso” (non “uguale”!) e di contribuire con la sua diversità all’arricchimento e al benessere della società, in particolare dei più svantaggiati (John Rawls).

Un programma che si definisce come liberalismo sociale, oltre la visione distributiva della socialdemocrazia. Coerente con una società aperta mentre si pone il problema di coloro che rimangono ultimi, anche quando promuove la differenza, l’eccellenza, il merito. Anzi dichiara che differenza, merito, eccellenza (che di fatto contrastano con i principi dell’egualitarismo) sono ammissibili soltanto se creano maggiori vantaggi per i più deboli, se aiutano a diminuire la povertà, , anche attraverso nuovi principi di perequazione non fondati sul peso esclusivo del fisco. Una visione in cui compito della politica non è di mediare gli interessi nel conflitto sociale, ma di mantenere vivo il patto costitutivo su cui si fonda la società, attraverso la collaborazione e non il conflitto. Raymond Aron, Karl Popper, Norberto Bobbio, Isaiah Berlin, sono i padri del liberalismo sociale. Personalità che Ralf Dahrendorf chiama “erasmiani” per la loro dedizione alle virtù cardinali della libertà. Virtù che si oppongono ad ogni autoritarismo e che si fondano sulla passione per la ragione e la conoscenza che non si fa trascinare dall’odio e dalla violenza. Erasmo da Rotterdam (che Norberto Bobbio vedeva come esempio di quell’altra grande virtù liberale che è la “mitezza”) era considerato da Dahrendorf un grande precursore delle virtù sulle quali fondare un nuovo umanesimo.

Un umanesimo quale possibile via di uscita dal “Secolo breve”, il secolo del welfare e della socialdemocrazia; ma anche il secolo delle guerre mondiali, del populismo e delle ideologie autoritarie. Secolo di cui rischiamo, nel nuovo millennio, di trovarci i peggiori fantasmi tra i conflitti innescati dalla globalizzazione. Il nuovo umanesimo delle virtù erasmiane sta oggi mettendo le sue radici nella politica francese grazie a Macron. Un umanesimo di cui il populismo e la destra protofascista, illiberale e antieuropea rappresentano la negazione. Non sfugge a questo schema neppure quella sinistra, direbbe Macron degli "utopisti del passato", che oggi tende ad accostarsi a quella più vicina alla dimensione "verticale" del conflitto, che vuole riunirsi intorno all’utopia negativa del “no”. "No" all’Europa di Syriza e "no" alle riforme in Italia, attraverso la mitizzazione della Costituzione vista, in modo forzato, come ultimo baluardo socialista. "No" che portano con se il prevalere di culture e posizioni sempre più ideologizzate, affini a quelle populiste, dove a prevalere è lo scontro personale e delegittimante, più che la politica.

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