Tempi duri per la Torino dell'auto

La settimana è iniziata con il racconto da parte di una giornalista del Corriere della Sera delle frasi e dei commenti che Sergio Marchionne scriveva nella chat interna, sul futuro di Fiat-Fca. Marchionne affermava che non avrebbe mai fatto accordi con Psa e che nutriva dei dubbi sull’auto elettrica. Mentre pochi hanno ricordato il quarto anniversario del grande manager col maglioncino, in questi giorni si è tenuto un incontro tra un dirigente delegato da Tavares con sindaco e presidente della Regione. Lontani i tempi nei quali l’Avvocato veniva a Palazzo Civico.

La nuova proprietà ha lanciato un altro progetto su Mirafiori, sull’economia circolare, dove si smaltiranno le batterie e forse verranno ospitati i moderni “feramiu” per smontare le auto vecchie. A fronte di questa brillante prospettiva nella quale la fabbrica o la città nella quale sono state ideate auto che hanno fatto la storia dell’automobile mondiale, continuerà a produrre la 500 elettrica, l’auto elettrica più venduta, e la Maserati elettrica, cioè due idee e variazioni pensate prima dell’arrivo dei francesi. Nel frattempo, continua l’esodo incentivato di personale. Negli stessi giorni Exor, la cassaforte della famiglia che molto ha dato ma moltissimo ha ricevuto da Torino e da Roma, dopo aver incassato miliardi dalla vendita ai francesi, ha trasferito la sede fiscale e legale ad Amsterdam.

A 34 anni dalla cacciata di Ghidella, l’uomo che proprio quarant’anni fa lanciava il modello più venduto dalla azienda, la Uno, l’uomo dei migliori bilanci di Fiat, come documentato dal prof. Pelliccioli, la produzione di auto in Italia è ridotta a 1/4 ma ora il suo destino è nelle mani irriconoscenti dei francesi che invece il settore auto lo hanno difeso a tutti i costi. Nel 1989 in Italia venivano prodotte quasi due milioni di auto, oggi siamo a meno di 500mila. Un caso di distruzione industriale senza precedenti senza che la politica, dai sindaci tanto vezzeggiati dalla stampa locale ai vari ministri dello Sviluppo economico abbiano lavorato a una politica industriale del settore simbolo dell’industria italiana del secolo scorso.

Nell’incontro dopo aver prospettato il fumoso progetto dell’industria circolare, che ha nel feramiù la parte operativa, è stato detto brutalmente, che le aziende dell’indotto che non troveranno più spazio nell’auto elettrica dovranno aggiustarsi da sole nell’affrontare il passaggio della transizione. Aziende centenarie che da decenni hanno collaborato con l’azienda, mettendo a disposizione ricerca e sviluppo, semmai dovrebbero avvantaggiare il processo intrapreso dalla casa automobilistica. Con quali risorse? Per fortuna che il ministro Giorgetti, spinto dall’iniziativa che alcuni parlamentari avevano portato avanti dopo la mia proposta di risoluzione parlamentare, ha fatto stanziare nel Decreto energia 8,7 miliardi, in più anni, che potranno essere utilizzati al meglio dalle aziende dell’indotto secondo gli indirizzi della mozione Molinari e altri. Senza quella protesta, oggi, con la crisi, il Governo non avrebbe potuto stanziare una somma così rilevante che una giornalista economica molto brillante e carina ha chiamato il “Fondone auto”.

Mentre scrivo mi dicono che Exor abbia messo in vendita anche il Palazzo Tapparelli D’Azeglio. Ma il sindaco e i partiti non battono ciglio? Le aziende, a partire da quella più grande, fanno parte del patrimonio storico ed economico di una città. Ecco perché è importante che i segretari di partito, che in questi giorni devono scegliere i prossimi candidati al Parlamento, cerchino qualcuno che fa della difesa di Torino e del suo futuro la ragion di vita.

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