1° Maggio, c'è poco da festeggiare

Caro direttore,
per capire la tristezza del Primo Maggio a Torino di quest’anno è più facile se riandiamo al 1971. Il Paese grazie a un grande ministro Carlo Donat-Cattin, un uomo di governo che andrebbe maggiormente studiato a partire dalle varie scuole di formazione del sindacato e della politica, usciva dal rinnovo dei contratti del ’69-’70 con il superamento dei bassi salari e con l’approvazione dello Statuto dei lavoratori. Il Primo Maggio era una vera e propria Festa del Lavoro. Poca disoccupazione, buoni salari, diritti importanti riconosciuti in fabbrica e negli uffici. L’industria dell’auto era in crescita e la città stava recuperando il gap scolastico rappresentato dai secondi turni.

Cinquant’anni dopo i salari hanno perso potere d’acquisto, anche se il costo del lavoro rimane alto, ecco perché è positivo che il Governo domani si riunisca prendendo misure importanti per il lavoro.

A Torino il Primo Maggio è triste, la città è ai primi posti per disoccupazione giovanile e il lavoro precario e poco retribuito è cresciuto in modo consistente. Anche la stampa cittadina, undici anni dopo la denuncia dell’Arcivescovo Nosiglia, prende atto che la città è divisa in due, quella che sta bene e quella che sta male. Torino viene da venticinque anni di crescita addirittura inferiore alla media nazionale ed è debole nel rapporto con le istituzioni nazionali e con le altre città. Basta vedere l’atteggiamento del Coni e soprattutto della giunta di sinistra milanese sulla eventualità di poter recuperare un ruolo nelle Olimpiadi invernali del 2026.

Torino, autolesionisticamente, non ha sorretto la battaglia del Governo in Europa a difesa del settore automotive. Così come le ripetute affermazioni dell’ad di Stellantis, Tavares, sugli alti costi di produzione degli stabilimenti torinesi a giustificare la preferenza assoluta per i siti francesi ma forse anche tesa a scoraggiare l’arrivo a Torino di un altro produttore di auto. D’altronde la scelta della famiglia Agnelli di impiegare i miliardi incassati dalla vendita ai francesi nelle star-up e nel comodo settore sanitario dovrebbe portare chi amministra la città a offrire rapidamente il grande know-how automobilistico dell’area torinese e piemontese anche a qualche altro produttore di auto. Torino può vantare alcune belle eccellenze produttive, di livello nazionale e internazionale, come la Spea, la Prima Industrie, l’Alenia, ma queste non bastano a rilanciare la crescita, tanto è vero che i neolaureati cercano lavoro all’estero, altra scelta che indebolisce la nostra città.

Anche se Torino ha una capacità di reazione storicamente importante vedasi la marcia dei 40mila nel 1980 e la grande piazza della Tav del 10 novembre 2018, la capacità di governo dei suoi amministratori non solo non pareggia quella dimostrata da Cavour e dai suoi ministri ma neanche si avvicina ai livelli dei migliori sindaci del dopoguerra Peyron, Grosso e Porcellana. L’aumento notevole della povertà trova per fortuna risposta nelle istituzioni di carità (Caritas, parrocchie, Sermig), eredi della grande storia dei santi sociali torinesi. Lo si vede dalla incapacità di risolvere problemi come quelli di piazza Baldissera e dalla cecità sullo stato dei collegamenti con la Francia e la Spagna. La prossima chiusura del Traforo del Bianco, tre mesi l’anno per diciotto anni, e lo stato dell’autostrada del Frejus o quelle verso la Liguria ci raccontano il silenzio assoluto della città di Torino.

In questa situazione mi auguro una risposta sindacale all’altezza dei problemi. Mi spiace che nell’appello dei tre sindacati provinciali non si parli di infrastrutture, quando Torino e il Piemonte, che dovranno attendere anni per avere la Tav e il Terzo Valico, si trovano con una tangenziale intasata, il Traforo del Bianco che verrà chiuso tre mesi l’anno per 18 anni e le autostrade piemontesi piene di lavori di ristrutturazione fatti tardivamente.

Uno sciopero alla giapponese (con una benda sulla fronte) per la crescita dell’economia e del lavoro a Torino, con un Sì pieno alla Tav, con la richiesta di fondi per l’innovazione industriale in un’area di crisi, unica, come quella torinese. Così come mi auguro che l’arrivo di Palenzona alla Fondazione Crt spinga il sistema bancario a fare di più per il territorio.

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