POLITICA & GIUSTIZIA

Quagliotti, “che Idea col compagno G”

Sodale di Greganti ai tempi del Pci, l'esponente del Pd piemontese sostiene di avere interrotto da tempo i rapporti. Tutto finì con il conto svizzero sul quale transitò parte di una mazzetta: "Ignoravo la provenienza di quel denaro". Vennero entrambi condannati

“I nostri rapporti si sono chiusi nel 1989, da allora ci siamo visti occasionalmente, a qualche festa di partito, ma escludo che abbia mai partecipato a qualche riunione, di certo non a quelle organizzate da me”. Giancarlo Quagliotti è infastidito dal vedere abbinato il suo nome a quello di Primo Greganti, finito in carcere con l’accusa di far parte della “cricca” degli appalti di Expo 2015. La ritiene una strumentalizzazione, una macchinazione di stampa orchestrata a ledere non tanto lui ma il Pd torinese, con l’evidente obiettivo di “mascariare” Piero Fassino, di cui è da tempo amico e ascoltato consigliore. E se nel partito molti cascano dalle nuvole, dichiarando di aver appreso dai giornali l’iscrizione di Greganti – ora colpito dalla sospensione “cautelativa” – Quagliotti ricostruisce la vicenda nella quale si consumò il loro rapporto: il famoso conto svizzero “Idea” a lui intestato quand’era capogruppo del Pci al Comune di Torino, e sul quale è transitata la metà di una mazzetta da 250 milioni di lire versata da una società del gruppo Fiat  (Italimpresit ) a un esponente comunista, il defunto sindaco di Settimo Torinese e allora amministratore del partito Antonio De Francisco. L’altra metà venne versata sul conto “Gabbietta” del compagno G. Per questa vicenda Quagliotti e Greganti vennero condannati per concorso in finanziamento illecito. «Non ne conoscevo la provenienza», disse allora Quagliotti ai magistrati e ribadisce oggi in un colloquio con Lo Spiffero, «pensavo fosse una sottoscrizione proveniente dall’eredità di un nostro militante immigrato», invece la provenienza era ben altra, come accertarono i pm: il “ringraziamento” per l’appalto di un depuratore.

 

Nel 1993 Quagliotti lasciò il partito nel frattempo diventato Pds, e allentò di molto l’impegno politico, per poi riapparire con la candidatura dell’amico Piero alle primarie per la guida della città. Un ruolo influente, da “eminenza grigiastra”, «una definizione che avete inventato voi, ma che in fondo neppure mi dispiace», e con l’ultimo congresso, la nomina nella segreteria regionale. «Sia chiaro, faccio politica ma non mi occupo minimamente di amministrazione», tiene a precisare. Ma in questi mesi nessun rapporto con Greganti, «l’ho visto qualche volta, saltuariamente, mi dicono ci fosse anche al corteo del Primo Maggio ma non l’ho visto. Non sapevo neppure che fosse iscritto al partito». È completamente all’oscuro dell’attività professionale del vecchio compagno d’arme di cui ricorda «la straordinaria capacità nel tessere relazioni», ma tende a escludere che nelle sue attività agisse in nome né tantomeno per conto del partito, o che potesse contare su “sponde” assai solide, come invece certe intercettazioni lascerebbero intendere. «Certo, ha molti amici, ha vissuto a lungo a Roma, e dopo tutti questi anni credo abbia costruito un sistema di relazioni importanti». Ma il partito, no «oggi completamente un’altra cosa». Anche se lo spettro di quel maledetto passato è difficile da scacciare.