EMERGENZA SANITARIA

Covid a casa per ingabbiare il virus

Parte da Alessandria, la provincia piemontese più colpita dall'epidemia, il piano di cure a domicilio. L'obiettivo è tenere i pazienti fuori dall'ospedale e monitorare l'evoluzione. Il protocollo potrebbe presto essere esteso al resto della regione

Un vescovo che prega, solo, nel cimitero dove neppure il dolore può essere condiviso. L’obitorio è un container refrigerato, perché le bare ormai, da giorni, sono troppe per i locali della morgue. E “Dio non voglia, quell’elenco di vittime potrebbe non essere ancora completo”, dice Padre Vittorio Viola, in una lettera ai sacerdoti della sua diocesi, quella di Tortona, città martoriata dal virus nella provincia più colpita che già piange 135 morti su una popolazione di poco più di 428mila abitanti. All’anagrafe sono registrati il triplo dei decessi rispetto all’anno scorso: 67 contro 23. Qui dove è stato creato il primo Covid Hospital del Piemonte, l’emergenza è ora anche funeraria: alcuni feretri sono stati spostati in quella morgue provvisoria, per dare la cremazione a tutti potrebbe essere necessaria una settimana.

“Servono anestesisti, anche in pensione”, il disperato appello dagli ospedali di questa provincia più delle altre lombarda, anche in quei numeri che sono persone. Contagiati, ricoverati, certo anche guariti. E morti. In una crudele lontananza fisica dai loro cari, come quella del pastore nel camposanto lontano dal suo gregge. Ma Alessandria è anche la provincia, prima in Piemonte, dove la guerra alla malattia si cerca di combatterla provando a coglierla quasi di sorpresa. Primi sintomi, anche lievi, il tampone poi si farà, ma intanto subito la terapia. A casa, in quella di riposo se l’anziano è lì che vive la sua vita ignaro del subdolo virus. “Covid a casa”, l’han chiamato i medici che in pochi giorni hanno preparato il protocollo che, salvo evitabili intoppi, partirà lunedì.

Un paio di pagine o poco più, farmaci che si prendono per bocca e costano pure poco, ma funzionano, i medici di famiglia opportunamente protetti che prima del test andranno di diagnosi clinica e incominceranno a curare i pazienti. A domicilio, senza che tutti debbano dopo sette o otto giorni finire in ospedale e, non di rado, nelle terapie intensive che sono sempre sul limite dei posti. “Aspettiamo il via libera dall’Unità di Crisi”, spiega Clemente Ponzetti, direttore sanitario delle cliniche Salus e Città di Alessandria del gruppo Policlinico di Monza, da una settimana chiamato a coordinare l’emergenza dell’Asl alessandrina, dove il virus ha messo fuori combattimento un buon numero di dirigenti e primari, tra i primi a essere contagiati il commissario Valter Galante. Era partito, nei giorni scorsi, ad Acqui e Ovada il protocollo predisposto di medici Paola Varese, Claudio Sasso e Gianfranco Ghiazza, subito approvato dal primario di infettivologia Guido Chichino e dal presidente dell’Ordine Mauro Cappelletti.

“Bisogna fare presto”. Presto appena si sospetta il contagio, presto a partire con un sistema che probabilmente sarà esteso al resto del Piemonte. Ieri Ponzetti ha definito gli ultimi dettagli. “Sto preparando una nota sia per i medici che operano nelle Rsa sia per quelli di medicina generale per applicarlo in maniera omogenea e a tappeto in tutta la provincia e far sì che l’approccio sia il più rapido possibile. Va detto che questo protocollo più si applica in maniera precoce, più è efficace”. Mentre si cerca di favorire le dimissioni, “perché, da questa malattia, per fortuna si guarisce”, stabilendo percorsi che possono portare in strutture attrezzate. La sfida al virus nella parte del Piemonte dove fino ad oggi ha fatto sentire in maniera terribilmente più pesante le sue conseguenze si gioca in anticipo. A casa quando vi siano le condizioni per mantenere l’isolamento fino all’accertata negativizzazione, o in alberghi per chi non può tornare tra le parteti domestiche.

“Fondamentale il ruolo dei medici di famiglia”, ribadisce il coordinatore dell’emergenza per l’Asl alessandrina. Medici che, ovviamente, non si limiteranno a fornire i farmaci, ma dovranno monitorare i pazienti dopo la prima visita e valutare gli effetti di una terapia che si spera eviti molti casi acuti e, di conseguenza, scongiuri il rischio di avere reparti di terapia intensiva e subintensiva non sufficienti di fronte a un contagio che in Piemonte continua ad avere numeri drammaticamente alti. E che potrebbero aumentare ancora.