TARTASSATI

Ma che web tax, quella di Cirio è semmai una bluff tax

Il centrodestra piemontese propone una legge per tassare le multinazionali dell'e-commerce. Un'iniziativa sgangherata sul piano economico e fiscale, per strizzare l'occhio ai capataz dei commercianti. Tranquilli, non se ne farà nulla. Le opinioni di Russo e Carnevale Maffé

La web tax di Alberto Cirio rischia di rivelarsi presto per quella che è: una bluff tax. E non perché le multinazionali dell’e-commerce non debbano pagare le tasse anche nel Paese in cui fanno affari e generano l’imponibile (e non solo dove hanno il proprio domicilio). Il problema è anzitutto di cultura economica, dei principi che ne informano le posizioni e, di conseguenza, della reale efficacia degli strumenti. A partire dalla questione basilare: tassare i ricavi o i profitti? Non è, insomma, una questione di lana caprina. A voler usare un’immagine efficace dell’economista Beppe Russo “è un po’ come se all’inizio del secolo scorso lo Stato avesse tartassato le automobili per salvare i venditori di carrozze”.

Il Piemonte ha approvato in giunta una proposta di legge nazionale da sottoporre al Parlamento che quintuplica l’aliquota della web tax dall’attuale 3 al 15 per cento. Nel mirino i big dell’economia digitale, colossi del calibro di Amazon, Google, Apple e molti altri. Non solo, secondo la proposta di Cirio, in caso di epidemie, come quella da Covid, la web tax raddoppia automaticamente, passando dal 15 al 30 per cento. Questo, a detta del centrodestra casalingo, dovrebbe garantire quelle risorse necessarie (circa 2,5 miliardi) per ristorare il piccolo commercio di vicinato, colpito dalle restrizioni. Nobile proposito, non fosse che le vie dell’inferno (fiscale) sono lastricate di buone intenzioni, e non è affatto detto che tale trasferimento avvenga, anzi. Di più, una simile imposizione particolarmente vessatoria non solo rischia di scaricare su utenti finali e clienti delle varie piattaforme il peso dell’aggravio fiscale, ma finirebbe per disincentivare l’economia digitale, terreno sul quale l’Italia e il Piemonte sono a livelli di arretratezza rispetto alla media europea. Uno sforzo per sussidiare il mercato analogico, quello più arretrato e inefficiente. Come ha detto recentemente al Foglio Carlo Alberto Carnevale Maffé, economista dell’Università Bocconi, bisognerebbe fare l’opposto: “Userei la leva fiscale ma all’esatto contrario. Io paragono l’analogico all’energia fossile e il digitale a quella rinnovabile. E allora perché se sussidiamo l’energia verde, con risultati discutibili, penalizziamo senza posa il digitale?”.

Secondo il direttore del Centro Einaudi Russo, “un conto è il giusto supporto del commercio di vicinato che deve essere garantito con spesa pubblica nel momento in cui si chiude un’attività per motivi sanitari, altro è il prelievo nei confronti di un altro settore commerciale che vince essenzialmente perché utilizza mezzi più moderni”. L’imposta, spiega Russo “deve essere neutrale, quella che discrimina un’attività rispetto a un’altra rappresenta un’ingerenza della politica sulla possibilità di scelta del consumatore e dunque sul libero mercato”. Eppure Cirio, assieme al suo assessore Maurizio Marrone, ha avuto anche l’ardire di definirsi liberali mentre presentavano la loro iniziativa. “I liberali sono sicuramente contro i grandi monopoli come rischiano di trasformarsi alcuni settori del mercato digitale – spiega Russo – ma sono anche per la neutralità fiscale”.

Un mostro, questa iniziativa, sia sotto il profilo economico (più che liberale sembra trovare ispirazione nelle vecchie teorie luddiste) sia politico viste anche le scarsissime possibilità di andare in porto. “Cirio si occupi del Piemonte, e con i suoi poteri ordinari eviti nuovi lockdown e possibilmente evitiamo di prendere in giro i commercianti” dichiarano i capigruppo di opposizione a Palazzo Lascaris. La proposta di legge appare infatti volta più a strizzare l’occhio ai commercianti che a coagulare un consenso attorno a essa in grado di modificare una norma che oggi – diciamo la verità – non è esattamente in vetta ai pensieri di premier e ministri. “La conferenza stampa della giunta è l’ennesimo annuncio al quale non seguirà alcun risultato concreto e che, purtroppo, genererà solo aspettativa”. Insomma, secondo le minoranze “un modo per spostare l’attenzione dai problemi del territorio piemontese”.

E mentre Cirio dice che vorrebbe “riaprire i negozi, ma per sempre”, l’assessore Marrone spiega che obiettivo della giunta è “arrivare vivi al momento delle ricadute positive del Recovery Plan” quasi a ipotizzare che gli effetti di una legge che ancora non esiste possano arrivare prima del pacchetto di risorse europee previsto per il prossimo anno. E se è vero, come sostiene qualcuno, che la manfrina sia essenzialmente un’operazione elettorale, il risultato sembra essere stato ottenuto. Confesercenti e Ascom già si sperticano in elogi.