LAW & ORDER

Giusto contrastare i rave party, ma la norma è scritta coi piedi

Al netto delle critiche della sinistra nell'improbabile difesa dei fattoni da raduno, i giuristi avanzano seri dubbi addirittura sulla costituzionalità del decreto Meloni-Piantedosi. Costa (Azione): "Troppi incompetenti a scrivere leggi"

La fretta (e la propaganda) fa i decretini ciechi. La stretta sui rave party voluta dal governo di Giorgia Meloni suscita critiche non solo tra le forze politiche, in particolare quelle di opposizione, ma anche tra giuristi e costituzionalisti si registrano numerose perplessità. Che qualcosa non vada pare ammetterlo lo stesso esecutivo che annuncia: “Se necessario la norma sarà resa più tipica, tassativa e puntuale nel corso del dibattito parlamentare”. Insomma, come scrive il responsabile Giustizia di Azione, Enrico Costa, “hanno buttato giù il testo di un reato come se fossero al bar, ora fanno retromarcia. Troppi incompetenti a scrivere le leggi”.

Secondo il provvedimento fortemente voluto dal neo ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sull’onda delle proteste per il raduno di Modena organizzare e partecipare ai rave diventa un reato, il 434-bis, punibile con pene fino a 6 anni di reclusione. Una decisione che fa discutere proprio perché il suddetto articolo del Codice penale si presta a interpretazioni ampie e fa temere che, in futuro, possa essere applicato anche in altri contesti. La sinistra – o parte di essa, visto che il governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini e molti amministratori locali hanno dichiarato di condividere lo spirito dell’intervento – ha lanciato il solito allarme democratico. Una esagerazione, ovviamente, ma per un’opposizione a corto di idee tutto fa brodo. Solo chi da tempo ha perso i contatti con la realtà non sa quanto questo genere di raduni rappresenti un flagello per le comunità coinvolte. Più serie appaiono invece i rilievi sollevati da autorevoli giuristi.

La questione intercettazioni – Al centro del dibattito, all’indomani della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale delle norme “in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali”, c’è soprattutto la possibilità di intercettare non solo gli organizzatori ma anche i partecipanti ai rave. La norma voluta dal governo, infatti, si rivolgerebbe a tutti coloro che invadono “terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica” in “un numero di persone superiore a cinquanta”. Quindi nel mirino rischia, potenzialmente, di finire anche chi occupa un edificio nel corso di una protesta (basta che ci siano più di 50 persone e che il loro raduno venga considerato “pericoloso”).

Il nodo delle confische – Il nuovo 434-bis, dunque, offre a polizia e magistratura la possibilità di adottare misure particolarmente severe nel corso delle indagini: registrazione delle conversazioni e delle chat ma anche la possibilità di confiscare e adottare misure patrimoniali nei confronti di chi è anche solo semplicemente indagato, come avviene per i reati di mafia. Troppa discrezionalità ed eccessivo allargamento del perimetro.

Reclusione e multe – Nel Codice penale è già previsto il reato di invasione di terreni o edifici (articolo 633), che prevede pene fino a 4 anni e multe fino a 2mila euro (se commesso da più di cinque persone), ma con il decreto anti-rave del governo si è voluto fare di più, inserendo pene più dure. La nuova norma su “invasione di terreni o edifici” commessa da più di 50 persone, “allo scopo di organizzare un raduno”, per organizzatori e promotori prevede, infatti, pene da 3 a 6 anni di reclusione e multe da mille a 10mila euro.

I dubbi del costituzionalista – Ma a provocare notevoli perplessità, oltre alle pene, c’è soprattutto la possibilità delle intercettazioni preventive: non citate nel decreto legge, ma possibili perché la pena prevista è superiore a 5 anni. Le intercettazioni solitamente vengono interpretate dai giuristi come la voglia di spiare tutto e tutti. “C’è una stretta e un controllo sugli individui che si può dedurre dalla possibilità di intercettare tutti, anche i minori. A dispetto delle rassicurazioni di esponenti del governo, i pm potranno mettere sotto controllo i telefoni di moltissime persone, pur giovanissime, senza che abbiano commesso alcun reato”, ha detto a Repubblica Gaetano Azzariti, costituzionalista dell’Università La Sapienza.

I timori per l’estensione – Come detto, a sollevare perplessità è la possibilità di una sorta di “estensione” della norma. “È possibile che abbia spazi applicativi più ampi rispetto all’origine che è quella dei rave. Che dunque possa estendersi anche a situazioni diverse”, ha spiegato Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati.  C’è poi una questione anche strutturale, di metodo: “Il decreto legge è poco adatto all’introduzione di norme penali, incriminatrici. Da oggi quella norma è pienamente vigente senza che ci sia stata ancora un’approvazione del Parlamento”, ha aggiunto.

Rischio di incostituzionalità – Insomma, la norma metterebbe a rischio la libertà di manifestare, in conflitto, dunque, con l’articolo 17 della Costituzione, che il diritto di manifestare lo rende “sopprimibile” solo “per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”. Si tratterebbe di una sorta di sfida alla Consulta che già nel 1958 aveva bocciato una norma del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza che risaliva al 1926, e che limitava il diritto di manifestare. Proprio per questo l’ex presidente della Consulta Giovanni Maria Flick, esprime tutti i suoi dubbi sulla debolezza costituzionale di questo passaggio: “A quanto ricordo la Costituzione parla di limitazioni soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica, mentre non fa cenno a pericoli per l’ordine o per la salute pubblica. Andrebbe subito verificata la costituzionalità di questa estensione dei limiti”, ha detto.

Dubbi politici – Il nodo delle intercettazioni, ma anche la severità delle pene di reclusione, vedono guardinga soprattutto Forza Italia. Un punto di mediazione potrebbe essere l’abbassamento della pena massima: arrivare a 4 anni, come già oggi prevede la legge, eliminando così le intercettazioni, lasciando comunque la confisca e le misure patrimoniali a cui il ministro dell’Interno Piantedosi, da prefetto prima ancora che da ministro, tiene particolarmente. Insomma, non è escluso che in sede di conversione del testo qualcosa cambi.