TRAVAGLI DEMOCRATICI

"Chi non cambia non fa cambiare, ma il Pd è solo più nomenclatura"

Un partito incapace di capire e interpretare i mutamenti della società. Un ceto dirigente legato ai propri interessi. Il dibattito sul segretario nasconde i veri mali. L'analisi spietata dell'ex politico Dc Bodrato: "L'ho votato per disperazione, mai preso la tessera"

“Mi può richiamare sul telefono fisso? Si sente meglio”. Al tuffo nel passato e gli schizzi su un presente apparentemente troppo semplice, Guido Bodrato porta con la stessa gentile decisione con cui nuota, un po’ delfino un po’ balena (bianca), nei dimenticati ragionamenti che una d sostituita alla poneva il timbro dell’autenticità demitiana. Lui, il politico piemontese, più volte ministro, ancor più in Parlamento, all’epoca stava con il conterraneo Carlo Donat-Cattin in Forze Nuove, poi nell’area zac dell’allora segretario Benigno Zaccagnini. Oggi, quando ha appena dato alle stampe il suo ultimo saggio, Le stagioni dell’intransigenzaIl Partito Popolare di Luigi Sturzo alla prova del fascismo e del bolscevismo nel Piemonte del 1919-1926 (Celid editore), è uno dei “vecchi” democristiani le cui lucide analisi impongono le virgolette e distanziano anni luce dalla politica dei tweet, perdipiù non di rado affrettati e compulsivi.

Così quando dal fiume in piena che è il ragionamento sollecitato sul Pd, cade come un masso la parola “nomenclatura” riferita ai mali che oggi il partito di Enrico Letta cerca di curare con un congresso e una nuova guida, si comprende anche il perché di quella confessione: “Il Pd, pur non avendo mai preso la tessera, l’ho votato, sì, per disperazione”.

E disperata appare oggi la situazione in cui versa il Partito Democratico. Onorevole Bodrato, lei pochi giorni fa, di fronte a questo quadro, ha ricordato una frase del politico democristiano, Nicola Pistelli, assessore a Firenze con Giorgio La Pira: “Chi non cambia, non fa cambiare”. Il Pd non vuole cambiare? Ha paura di farlo? Non ci riesce?
“Sembra una battuta, ma è molto di più: è una riflessione. Vuol dire che nell’elaborare le proprie idee bisogna avere sempre la capacità di capire qual è la ragione per cui le posizioni cambiano. L’idea politica significa stare al passo con le cose che stanno cambiando. Veda, la mia critica è quella di chi si trova disorientato da quello che sta accadendo, io non li capisco più”.

I dirigenti del Pd, intende?
“Certo, purtroppo, per età, ne conosco più pochi, ma qualcuno c’è ancora. Non li vedo capaci di una riflessione libera, troppo legati agli interessi. Non vorrei apparire eccessivamente polemico…”.

Con tutto quello che si dice, non corre certo questo rischio.
“Mi paiono troppo legati agli interessi di una nomenclatura che non dico che sta tramontando, ma che è già tramontata. Eppure continuano a muoversi come se niente fosse cambiato, come se il loro declino fosse dovuto a fattori straordinari, che magari ci saranno pure…

Però c’è dell’altro, lei che ne ha viste tante nella vita della Repubblica e dei partiti, cosa vede? 
“Vedo un’implosione interna della situazione politica italiana. Per capire i problemi del Pd, si deve essere capaci di una riflessione, un’autocritica su questi quasi ultimi vent’anni. Non si può immaginare che tutto questo sia capitato l’altro ieri per un accidente storico, ci sono anche responsabilità oggettive”.

Adesso la discussione è sul nome di un possibile segretario, in una confusione anche di posizionamenti che porta un ex Dc come Dario Franceschini a sostenere Elly Schlein e un ex Pci come Piero Fassino a essere molto dubbioso sul’ex vicepresidente dell’Emilia-Romagna. Per dirla con la frase di Lenin, guardando al Nazareno, che fare?
“Una fase di ripensamento sostanzialmente culturale che soltanto dopo diventa una scelta di strategia. Se non sanno chi sono, qual è il senso politico del Pd, cosa rappresenta oggi in Italia l’esistenza di un partito democratico, come si può pensare di cambiare cambiando il segretario?”.

Intanto ha detto no a Letizia Moratti sostenuta dal Terzo Polo, candidando in Lombardia Pierfrancesco Majorino.
“Una situazione drammatica. Majorino è un’ottima candidatura, ma il tema era impedire la vittoria della destra anche in Lombardia. Ci sarà una parte che voterà la Moratti e una parte Majorino e il rischio concreto sarà di far vincere la destra, un errore storico del Pd. Ecco perché dico chi non cambia non fa cambiare. Poi non vengano a piangere sul latte versato”.

Un errore tattico, ma c’è anche una strategia che presta il fianco nel Pd?
“C’è chi, come Graziano Delrio, parla di individualismo come la radice dei mali, ma l’individualismo è un aspetto psicologico, in realtà qui siamo di fronte alla personalizzazione delle politica e da vent’anni si personalizza e si radicalizzano le posizioni personali. In questo modo si costruisce l’attesa dell’uomo della provvidenza, poi non si lamentino se arriva.

A questo proposito, la spaventa la spinta presidenzialista della destra oggi al governo?
“Non ci si sta rendendo conto che sta cambiando il regime, che questo è responsabilità anche di una forza politica che non è stata capace di cambiare la legge elettorale quando si sarebbe potuto, perché la metà di quel partito era interessato a non farlo. Un partito che ho votato per disperazione, ma mai ho preso la tessera perché sono sempre stato contrario dall’origine alla loro concezione autoritaria della politica. Venendo al presidenzialismo, la destra immagina di votare il presidente e la sua assemblea, in una concezione del Presidente della Repubblica come capo della maggioranza parlamentare. Questo significa cancellare di fatto il ruolo del Parlamento e seguire il modello dei colonnelli sudamericani”.

Il dibattito sul futuro segretario del pd, par di capire, non l'appassioni molto.
"Non è che non mi appassione, mi preoccupa. Che è peggio".

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