DIRITTI & ROVESCI

Carcere lager di Ivrea, 45 indagati

Pestaggi, lesioni, trattamenti umilianti, minacce. Coinvolti secondini, educatori e medici. Le denunce sono state presentate nel corso degli anni da vari detenuti. La famigerata cella "Acquario". Antigone: "Violenza diffusa in molti istituti di pena"

Nuovi sviluppi dalle denunce di violenze e di abusi presentate dai detenuti del carcere di Ivrea, nel Torinese. Alla prima inchiesta della Procura generale, chiusa un paio di mesi fa con 25 indagati per una decina di episodi risalenti al biennio 2016-2017, si affianca ora quella della procura eporediese. Dopo le perquisizioni della notte scorsa, sono state iscritte nel registro degli indagati 45 persone. Sono agenti della polizia penitenziaria e medici in servizio nel carcere di Ivrea, ma anche funzionari giuridico pedagogici e direttori pro-tempore della casa circondariale. Delle presunte violenze a danno dei detenuti di Ivrea si parla da anni. Le prime denunce erano state di carcerati per lo più stranieri, picchiati senza motivo, a loro dire, solo per avere chiesto di fare una telefonata. Anche la relazione del 2016, firmata dal Garante nazionale dei detenuti, aveva portato alla luce alcune situazioni sospette, accompagnate da condizioni strutturali e igieniche inaccettabili. In quell’occasione il Garante era intervenuto dopo che gli agenti della penitenziaria erano stati costretti a sedare una rivolta dei carcerati. Le prime segnalazioni però si erano chiuse in un nulla di fatto, fino a quando la Procura generale aveva deciso di avocare il fascicolo e riprendere da capo gli accertamenti. Non ha portato, pare, a sostanziali modifiche nella gestione della casa circondariale, se è vero, come ammette il procuratore capo di Ivrea, Gabriella Viglione, che “i reati risultavano tuttora in corso, situazione che ha reso inevitabile l’intervento degli inquirenti”. Così la scorsa notte, personale della polizia penitenziaria, carabinieri e guardia di finanza hanno effettuato 36 perquisizioni domiciliari notificando altrettante informazioni di garanzia. Perquisizioni che hanno riguardato il carcere, ma anche le abitazioni degli indagati.

La nuova indagine riguarda numerosi episodi denunciati dai detenuti nell’ultimo biennio, alcuni anche recentissimi, sino all’estate 2022. Tra i reati ipotizzati, la tortura con violenze fisiche e psichiche nei confronti di numerosi detenuti, il falso in atto pubblico e altri collegati. Le indagini hanno anche confermato la presenza di due celle che, come denunciato, venivano sistematicamente utilizzate per picchiare e rinchiudere le persone ristrette: la cosiddetta “cella liscia” e il temuto “acquario”, dove i carcerati rimanevano in isolamento senza poter avere contatti con nessuno, nemmeno coi loro difensori.la di contenimento di natura afflittiva” violando la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

“Con queste 45 persone sono oltre 200 gli operatori penitenziari attualmente indagati, imputati o già passati in giudicato all'interno di procedimenti che riguardano anche episodi di tortura e violenza avvenuti nelle carceri italiane. Un dato che ci racconta di un problema evidente che si riscontra negli istituti di pena dove, con troppa frequenza, da nord a sud emergono fatti di questo tipo”. A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, dopo la notizia dei 45 avvisi di garanzia ad altrettanti indagati a Ivrea. “L’approvazione della legge sulla tortura, avvenuta nel 2017, ha certamente influito positivamente sull’emersione di queste condotte, aumentando la predisposizione dei detenuti a denunciarle e l’attenzione che la magistratura pone nell'indagarle e perseguirle. Tuttavia, ciò che occorre – continua Gonnella – è un’attività di prevenzione che dovrebbe portare ad investire risorse nella formazione degli agenti penitenziari, nella costruzione di una vita interna agli istituti che sia più distesa, contrastando il sovraffollamento penitenziario e con i detenuti impegnati in attività, cosa che aiuterebbe a stemperare quel clima di tensione che si registra e che ravvisiamo in forma crescente anche con le visite del nostro osservatorio”. “Si dovrebbero poi offrire maggiori riconoscimenti per coloro che, in carcere, lavorano nel pieno rispetto delle proprie funzioni e della dignità della persona. Cosa che riguarda, occorre ricordarlo, la maggior parte degli operatori”, conclude.

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