SACRO & PROFANO

Repole prepara il direttorio per la "rivoluzione di giugno"

Nella diocesi di Torino si attende un ampio giro di nomine, spostamenti e aggregazioni. È il banco di prova della prima linea "boariniana" in curia. Il ruolo del Papa Re di Grugliasco. Lepri, i cattolici e la svolta radicale del Pd

La “rivoluzione di giugno” che vedrà un ampio giro di nomine e spostamenti di parroci e che ridisegnerà la diocesi di Torino sarà il banco di prova della nuova prima linea curiale dell’arcivescovo Roberto Repole. Essa si sta preparando in silenzio, ma ciò non toglie che siano molti a interrogarsi su quale strategia la ispiri e a quale modello di Chiesa si rifaccia. Sembra che Sua Eccellenza si rechi spesso a Grugliasco dove impera da anni il parroco di S. Cassiano, don Paolo Resegotti, detto il “Papa Re”, boariniano della prima ora e uno dei più ascoltati e influenti esponenti del nuovo gruppo di comando. Pare che il suo modello di pastorale – verso il quale era invece assai critico monsignor Cesare Nosiglia – dovrà ispirare il nuovo corso. Qualche malizioso dice che S. Cassiano – fatte le debite proporzioni – sia diventato quello che un tempo era il glorioso Convitto della Consolata di S. Giuseppe Cafasso dove i preti appena ordinati venivano a formarsi in campo morale e ad apprendere a diventare pastori del gregge. Oggi, nel regno di don Resegotti, i giovani leviti vengono istruiti a scrollarsi di dosso ogni ben che minimo sospetto di coltivare qualche sensibilità men che meno progressista.

A proposito di Grugliasco sembra che le sei parrocchie diventeranno una sola con un solo parroco. E si può immaginare chi potrà essere, a meno che don Paolo assurga a più alto luogo. Il disegno generale prevederebbe per la diocesi l’accorpamento di più parrocchie in una, che si potrebbe definire come “capofila”, in cui si concentrerebbero i servizi amministrativi e nella quale dovrebbero trovare abitazione i preti: un modello, per alcuni aspetti, mutuato da Milano. Questo naturalmente in linea teorica. Di fronte a tale prospettiva, ancora tutta da delineare, non sono pochi i preti che temono – a dispetto della sinodalità – di vedersi annunciato da un giorno all’altro il trasferimento o caricato il basto di nuovi impegni in seguito al taglio dei “rami secchi”. È però emerso anche un fatto, che la dice lunga sul clima che serpeggia in diocesi rispetto alle consultazioni effettuate per la ricerca dei “germogli” e che molti pensano sia solo un modo per indorare la pillola. A fronte della richiesta avanzata dai vertici della curia di un nuovo giro di confronto con i fedeli, alcuni parroci più a contatto con la realtà quotidiana e che non si attorniano soltanto dei laici “adulti” dei consigli pastorali, avrebbero replicato dicendo che la gente comune non vuole più essere ascoltata ma attende delle risposte alle grandi domande che da sempre si rivolgono alla Chiesa: il senso dell’esistenza, la fede, la vita eterna, il peccato, la salvezza... Tutti interrogativi ai quali la teologia narrativa post-metafisica non è più in grado di rispondere ma sa solo ripetere come un mantra che bisogna “camminare insieme”. Verso dove non si sa. Si ha l’impressione che – come diceva il cardinale Giacomo Biffi – Cristo sia diventato il pretesto per parlare d’altro.

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I vescovi piemontesi si sono riuniti qualche settimana fa sotto la presidenza del vescovo di Aosta, monsignor Franco Lovignana, e tra le altre cose hanno trattato un tema cruciale: quello dei seminari e del loro riassetto. Lunedi 27 marzo il Santo Padre – due giorni prima del malore che lo ha colto in piazza S. Pietro – ha ricevuto in udienza i vescovi e i seminaristi della Calabria con i loro superiori e ha pronunciato un importante discorso. Francesco non ha usato giri di parole: «Vorrei chiedere a voi vescovi di fare una scelta chiara sulla formazione sacerdotale: orientare tutte le energie umane, spirituali e teologiche in un unico Seminario. Dico unico. Possono essere due ma sommati: orientare verso l’unità, con tutte le variabili che ci possono essere ma arrivare lì. Vedete voi come fare questa unità. Non si tratta di una scelta logistica o meramente numerica, ma finalizzata a maturare insieme una visione ecclesiale e un orizzonte della vita sacerdotale, invece di disperdere le forze moltiplicando i luoghi di formazione tenendo in vita piccole realtà con pochi seminaristi… Non sarà Roma a dirvi cosa dovete fare, perché il carisma lo avete voi, lo Spirito Santo lo avete voi per questo. Se Roma incominciasse a prendere le decisioni sarebbe uno schiaffo allo Spirito Santo, che lavora nelle Chiese particolari». Anche i vescovi piemontesi sono avvisati, non osino prendere a schiaffi la terza Persona della Santissima Trinità perché con papa Francesco c’è poco da scherzare e pensino invece a realizzare il seminario regionale. Finora sono stati fatti degli aggiustamenti per accontentare un po' tutti – vescovi, insegnanti chierici e laici – ma d’ora in poi sarà il tempo delle scelte.

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Preghiamo perché il Santo Padre, dimesso ieri dal Policlinico Gemelli, si ristabilisca al più presto. Pur francamente e liberamente critici, riconosciamo in lui il legittimo Successore di Pietro e Pastore della Chiesa universale. Dominus conservet eum… Naturalmente i giornaloni hanno immediatamente addossato ai conservatori e ai tradizionalisti le trame più oscure e i desideri più inconfessati. Nulla di paragonabile comunque a quanto disse in una intervista del 2005 il professor Giuseppe Alberigo – guru del cattolicesimo democratico e della Scuola di Bologna fondata da Giuseppe Dossetti, coordinatore della Storia del Concilio Vaticano II,  fautore dell’ermeneutica della rottura e maestro di Alberto Melloni – in cui ricordava che nel 1953, nella sua casa di Bologna, un monaco benedettino suo ospite, «pio assai famoso», invitava lui e la moglie a pregare per la morte di Pio XII – poi avvenuta nel 1958 – e spiegava: «Ora il Santo Padre è un peso per la Chiesa, preghiamo perché il Signore se lo prenda presto». Quel benedettino era padre Jean Leclercq (1911-1993), professore all’Università Gregoriana di Roma.

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A proposito di Melloni – ex bergogliano anche lui «misericordiato» – questi si esprime ormai con toni inusitati e impensati fino a qualche anno fa: «Papa Bergoglio ha giocato a più riprese con le sue dimissioni nelle innumerevoli interviste, a giornali, periodici, radio e tv, di questi anni: in quelle conversazioni che hanno creato una nuova tipologia di magistero – il “magistero liquido” – Francesco ha spesso sondato, aggiustato, corretto, enunciato, eluso temi e problemi. Ha parlato della durata del pontificato (“breve”, lo profetizzò a padre Spadaro ben dieci anni fa) e sulle ragioni delle sue possibili dimissioni (“si governa con la testa e non la rotula”, ha detto di recente): e ha giocato al gatto col topo coi giornalisti».

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L’ex senatore Stefano Lepri, non rieletto nel 2022, ha rilasciato un’intervista al settimanale diocesano La Voce e il Tempo in cui si avventura in un’impresa che appare quasi impossibile: quella di conciliare la presenza dei cattolici nel Pd con la svolta radicale impressa dalla nuova segretaria Elly Schlein su vari temi come le nozze gay, la modifica della legge sulle adozioni, la liberalizzazione delle droghe leggere. Incalzato dalle domande, Lepri afferma che «il Pd non ha finora compiuto passi effettivi di rottura sui temi etici», così sulla questione dell’utero in affitto che il centrodestra chiede di rendere reato, ritiene che sia «ragionevole pensare che la maternità surrogata non possa essere reato in Italia e legale all’estero». Molto cauta è poi la risposta sull’esplosione delle rivendicazioni sui temi del gender: «Non è in discussione il rispetto dell’identità di genere di ogni persona ed è giusto contrastare duramente ogni forma di discriminazione al riguardo. Tuttavia trovo eccessiva l’enfasi verso il concetto di fluidità di genere, quasi che ci si debba rifiutare di riconoscerci in un’identità sessuale definitiva». Anche sul ddl Zan – contro il quale si espresse il Segretario di stato, cardinale Pietro Parolin – emerge la vecchia propensione democristiana al compromesso e alla mediazione per cui il contrasto all’omotransfobia «è sacrosanto ma va meglio definito, con pene e sanzioni giuste». Dei famosi valori non negoziabili, quelli che Benedetto XVI indicava ai parlamentari del Partito popolare europeo come quei principi che sorreggono tutti gli altri – tutela della vita dal concepimento alla morte naturale, tutela della struttura naturale della famiglia quale unione fra uomo e donna basata sul matrimonio e difesa dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente ad altre forme radicalmente diverse di unione, tutela del diritto ad educare i propri figli – non vi è più nessuna traccia. Stefano Lepri resterà comunque nel Pd ma ad una condizione: «Che, come avvenuto finora, sia garantita anche nel futuro alle diverse anime del partito la possibilità di esprimersi e organizzarsi liberamente».  Intanto, come premio di consolazione, è stato inserito nella direzione nazionale.

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Il cardinale Jean Claude Hollerich, che è il più accreditato candidato dei progressisti al pontificato, in un’intervista ha negato che l’insegnamento di Ordinatio Sacerdotalis di San Giovanni Paolo II sia infallibile e ha detto: «Penso che ci possa essere spazio per ampliare la dottrina» e cioè per procedere con le donne prete. Singolare poi la sua posizione per cui non si deve mai assolutamente criticare il papa qualunque cosa dica. Eppure, fino a prima dell’elezione di Francesco non era così. Anzi, era lo sport preferito di molti vescovi.

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È mancato il 26 marzo il cardinale tedesco Karl-Josef Rauber che, quando era nunzio apostolico in Belgio, rilasciava dichiarazioni contrarie al papa regnante – allora Benedetto XVI – che oggi appaiono incredibili e gravi. Come quando si permise di scrivere che il candidato alla sede di Bruxelles, André-Joseph Léonard, poi scelto dal papa, aveva fra i suoi difetti quello di essere «obbediente a Roma» e meglio sarebbe stato scegliere il pupillo del cardinale Godfried Danneels (uno degli esponenti della “mafia” di San Gallo) che con Francesco fu poi nominato e diventò cardinale, cosa che non accadde a Leonard. Sì, perché per certi progressisti l’obbedienza al papa e a Roma si misura su chi in quel momento occupa il Seggio di Pietro. Con Wojtyla e Ratzinger non era più una virtù, con Bergoglio lo è ridiventata.

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