FINANZA & POTERI

Crt, Torino perde un posto (e peso). Malumori per il blitz di Palenzona

Promesso per rabbonire Lo Russo, il secondo consigliere in capo alla Città Metropolitana sparisce nell'ultima versione dello Statuto che invece incrementa la presenza delle altre province. Diktat su Unioncamere. Maretta sul decisionismo del presidente. "Varese chi?"

E menomale che “comunità torinese e slancio internazionale” sono i due cardini su cui Fabrizio Palenzona ha dichiarato di voler improntare la sua azione alla guida della Fondazione Crt. Sulla proiezione estera si vedrà, ma di certo le prime mosse non paiono propriamente andare nella direzione del rafforzamento di Torino. Anzi, l’ultima versione dello Statuto, discusso ieri nell’apposita commissione interna e in procinto di essere approvato dal Consiglio di indirizzo, prevede che per allargare la rappresentanza delle province piemontesi la Città Metropolitana resti con un solo consigliere. Addio quindi al secondo posto promesso qualche settimana fa per respingere i timori di una progressiva emarginazione dell’area torinese. Se poi a questo taglio si aggiunge il diktat che riguarda Unioncamere, obbligata a designare nomi che non appartengano al capoluogo, l’impronta della possente mano di Big Fabrizio su un sistema consolidato racconta di qualcosa simile a un pugno sul tavolo, con l’esito di far saltare più di una pedina dalla storica scacchiera in cui si susseguono partite tra politica e finanza. Si veda come la si vuole, però è innegabile che in tal modo il peso di Torino viene diluito.

Per quanto prevedibile e previsto con l’ascesa al soglio di via XX Settembre di un “papa straniero” (su cui pesa l’ostracismo di ampi settori dell’establishment cittadino), lo schiaffo è di quelli destinati a lasciare il segno. Ancora non si conoscono le reazioni del sindaco Stefano Lo Russo, anche se l’ostentato disinteresse per la partita – “Non me ne occupo” ripete a quanti lo interrogano sulla questione – sarebbe solo apparente, come dimostrano le telefonate della sua capa di gabinetto ad alcuni consiglieri, invitandoli a “bloccare l’approvazione dello Statuto”. La sensazione è che difficilmente, anche stavolta, riuscirà nell’impresa.

La stessa data scelta per l’approvazione del nuovo statuto, il 25 luglio, finisce con evocare beffardamente decisioni clamorose e altrettanto clamorose defenestrazioni. Intanto l’ingresso annunciato di Andrea Varese quale nuovo segretario generale della fondazione al posto del giubilato Massimo Lapucci, s’accompagna a più di una perplessità e qualche interrogativo. Non si è al “Varese chi?”, ma poco ci manca. Il manager, a lungo nel gruppo Fiat, prima di passare ai piani alti di Unicredit e prendere il volo verso incarichi in mezza Europa, è sì torinese di nascita e per una prima parte della sua sfolgorante carriera, ma in città, per non dire nel resto del Piemonte, risulta poco conosciuto anche negli ambienti più contigui a quelli in cui opera la fondazione. Il suo nome, per chi lo ricorda, è associato soprattutto alla ormai lontana stagione della Sacra Ruota, ai tempi del famoso prestito convertendo di tre miliardi di euro concesso a una Fiat male in arnese (siamo nel 2002) dalle banche creditrici, operazione finita all’epoca pure sotto la lente della magistratura.

Certamente non quello di un Carneade, ha lavorato gomito a gomito con il direttore finanziario della Fiat Luigi Gubitosi, ma il profilo scelto da Palenzona se può risultare appropriato a custodire (e far fruttare) la cassaforte risulta poco consono per gestire la rete di relazioni con il territorio, soprattutto nell’opera di distribuzione delle risorse che resta la principale attività dell’ente. “Non conosce nessuno e nessuno lo conosce”, è il commento pressoché unanime che si registra nei corridoi della Fondazione, dove più di una perplessità sulla “postura”, prima ancora che sul merito delle scelte, vengono manifestate persino tra coloro che hanno sostenuto la scalata di Palenzona o sono stati da lui designati negli organismi interni (come il presidente del collegio sindacale, il commercialista vercellese Luigi Tarricone). Un fastidio per decisioni assunte senza interpellare i consiglieri e a loro comunicate sbrigativamente quasi come una presa d’atto (“Ha letto i nomi talmente velocemente che non siamo riusciti a scriverli”). Insomma, se con il predecessore, Giovanni Quaglia, la condivisione avveniva “poco e all’ultimo”, Palenzona condivide “niente e mai”.