SANITÀ

Sempre meno medici di famiglia.
"Il corso è un imbuto: va abolito"

Nei prossimi tre anni il Piemonte perderà oltre 300 dottori. Appello della Fimg alle Asl: fino a mille assistiti alle guardie mediche. Barillà (Smi): "Il triennio di formazione non serve e limita troppo gli accessi, meglio far entrare subito i laureati"

Ha scritto ai direttori generali di tutte le Asl del Paese. Ma l’appello di Tommasa Maio, segretario nazionale della Fimgc-Continuità Assistenziale, a dare “piena e immediata applicazione” alla norma che consente a chi fa guardia medica per non più di ventiquattr’ore alla settimana di poter avere fino a mille assistiti come medico di famiglia, in Piemonte ha trovato una porta già aperta. Anzi, spalancata da un po’ di tempo, ovvero da quando un accordo regionale aveva già previsto ciò che poi sarebbe finito nel decreto Enti Pubblici, sia pure limitando la soglia a 900 “mutuati”.

L’eclatante iniziativa della sindacalista dei camici bianchi territoriali è, tuttavia, solo l’ultima in ordine di tempo a fronte di un problema, quello della carenza di medici di medicina generale, che va sempre più accentuandosi senza intravvedere una concreta ed efficace soluzione. Lo stesso via libera al doppio incarico – guardia medica e medico di famiglia – pur anticipato in Piemonte, risulta poco più che un placebo. .

“Oggi i medici di famiglia in Piemonte sono circa 2.700, mentre solo sette anni fa erano 3.300 e nei prossimi anni senza un intervento risolutivo la situazione peggiorerà ulteriormente”, evidenzia Antonio Barillà, segretario regionale dello Smi, altra sigla di rappresentanza della medicina generale. “I corsi ogni anno formano, nella nostra regione, si è no un terzo di medici rispetto al numero di quelli che vanno in pensione, non bastano un paio di centinaio di nuovi professionisti, così come non basta aprire, come già si sta facendo, al loro impiego sul territorio già al primo anno del triennio di formazione”, osserva rispondendo allo Spiffero. “A questo punto se, come giusto e opportuno, già si consente ai medici già al secondo anno di avere assistiti, non vedo perché non lo si dovrebbe abolire quel corso che, oggi come oggi, è un imbuto, una strozzatura all’impiego di più professionisti sul territorio”. 

Insomma, anziché limitare con il numero fissato per i corsi l’utilizzo di una quantità insufficiente di dottori nella medicina del territorio, “aprire ai laureati, magari con un affiancamento di sei mesi, tornano a un vecchio modello, ma che funzionava e certamente ha formato una classe medica di tutto rispetto”, aggiunge Barillà. “Le nostre proiezioni ci dicono che in Piemonte nei prossimi tre anni il numero dei medici di medicina generale scenderà, tra uscite e ingressi, di ulteriori trecento professionisti. Un quadro che non può che richiedere interventi, diversi e assai più incisivi di quanto non sia l’affidare una quota di assistiti alle guardie mediche che, a loro volta sono già insufficienti”.

La stessa prospettiva indicata dal ministro della Salute Orazio Schillaci dell’istituzione di una Scuola di specializzazione in medicina generale, equiparandola a quelle di tutte le altre specialità, pone fin da ora tutta una serie di problemi nei rapporti con le Università e, soprattutto, non supererebbe il nodo del numero chiuso. “Il corso com’è fatto, è inutile – sostiene, senza giri di parole il segratario dello Smi – e sorattutto blocca l’accesso a un numero adeguato di medici sul territorio. Meglio far sì che durante l’attività lavorativa il medico si specializzi, senza limitare a un paio di centinaia di neolaureati, e fino all’anno scorso erano ancora meno, le possibilità di accesso, che significano risposta alle esigenze dei cittadini”.

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