FINANZA & POTERI

Monti Python in Fondazione Crt: mezze dimissioni dei "congiurati"

Siparietto surreale in via XX Settembre. I quattro dell'Ave Maria lasciano gli incarichi nelle società esterne che si erano autoassegnati nel cda della rottura con Palenzona. Sperano così di scongiurare l'arrivo del commissario. Pressing a vuoto sul "pretino" vercellese

Un mezzo passo indietro. Quattro consiglieri di amministrazione della Fondazione Crt, i cosiddetti “congiurati” protagonisti del ribaltone interno, si sono dimessi dagli incarichi esterni, quelli che in una contestata seduta del cda si erano autoassegnati nella famosa “spartingaia” notturna. In quella riunione del board, dopo la conferma della sfiducia al segretario Andrea Varese, si era giunti alle nomine delle partecipate dell’ente, in aperto dissenso con l’allora presidente Fabrizio Palenzona che qualche ora dopo si sarebbe dimesso.

Antonello Monti lascia così la presidenza di Ream, Caterina Bima la carica di vicepresidente della stessa società, Davide Canavesio si dimette da vicepresidente in Equiter. E Anna Di Mascio abbandona il ruolo da sindaco alle Ogr. Il board di oggi è il primo con Anna Maria Poggi presidente della fondazione torinese, eletta il 7 giugno scorso. Si tratta di dimissioni non dovute e i consiglieri di amministrazione, dimettendosi dalle partecipate, avrebbero così voluto lanciare un segnale rispetto alla nuova presidenza Poggi, facendo un passo indietro da alcune delle cariche nelle società partecipate “in una logica di senso di responsabilità e fiducia verso l’operato del nuovo corso” a via XX Settembre. Rinunce parziali, giacché tutto rimane immutato alle Ogr, altra partecipata di peso, dove Canavesio resta presidente e ad e Bima vicepresidente.

Durante la giornata si era fatto piuttosto insistente il pressing sul consiglio di amministrazione, anche con l’uscita a tambur battente di indiscrezioni sul contenuto delle indagini in corso (peraltro tutte cose già note da tempo). Un lavoro ai fianchi soprattutto di Antonello Monti, unico componente del cda ad essere stato raggiunto dall’avviso di garanzia assieme ad altri sei consiglieri d’indirizzo della fondazione e a Corrado Bonadeo, ex consigliere considerato l’ideatore del “patto occulto” da cui è scaturita la buriana che da mesi travolge la fondazione. Il vicepresidente vicario Maurizio Irrera avrebbe sollecitato l’opportunità di una sua uscita da tutte le cariche, trovando l’opposizione di altri consiglieri e il felpato attendismo della stessa Poggi.

Monti, esponente espresso dal mondo ecclesiastico piemontese, avrebbe prodotto un parere legale per confutare l’applicazione delle norme che regolano la “permanenza del requisito di correttezza in capo ai consiglieri oggetto di indagine penale per un reato societario (art. 2636 c.c.)” alle fondazioni. Roba da legulei che però la dice lunga sulle volontà dei vari soggetti in campo. Irrera non riesce in quello che, evidentemente era l’obiettivo della sua mossa – ovvero quello di mettere in minoranza i “congiurati” e stanare la presidente Poggi – mentre Monti resiste al suo posto. Eppure è proprio Monti ad essere stato determinante, con il suo improvviso cambio di campo, per sfiduciare Varese e di fatto indurre Palenzona a gettare la spugna. Ed è sempre Monti ad essere indicato come “portavoce” del patto ed è ancora lui che in una riunione ristretta con alcuni “pattisti” matura il voltafaccia, annunciato con tanto di messaggi whatsapp giustificto da non meglio precisate pressioni ricevute da ambienti ecclesiali (“Mi hanno dato una lettera terribile. Mi hanno messo all’angolo”).

Come noto, gran parte dell’indagine è concentrata su quello che è successo tra il 23 marzo e il 19 aprile: giorno in cui si tenne la riunione segreta tra i sette consiglieri ora indagati per “interferenza illecita” e che — per il procuratore aggiunto Marco Gianoglio e i sostituti Paolo Del Grosso e Lisa Bergamasco — potrebbe essere stato “il primo momento di attuazione del patto”. Centrale è il verbale del cda iniziato il 19 aprile con la sfiducia di Varese, poi sospeso e terminato il 22 aprile con il litigio che il giorno dopo ha portato alle dimissioni di Palenzona. Un documento importante perché non era stata approvata una versione unitaria: quindi sono state inviate al Mef delle bozze e solo qualche giorno dopo si è arrivati alla definitiva. L’accusa dei magistrati è pesante: interferenza illecita in assemblea, attraverso la quale sarebbero maturate nomine sia in seno al consiglio, sia all’interno di alcune partecipate come Equiter, Ream e le Ogr.

L’esistenza e la messa in esecuzione del patto sarebbe desumibile dalle dichiarazioni riferite da Monti allo stesso Palenzona, alla presenza di Maurizio Irrera e Marco Giovannini; dalle modalità di conduzione del cda del 19 aprile (quello che ha sfiduciato Varese); dalla ricostruzione dei fatti fornita dall’allora consigliere Francesco Galietti nella denuncia integrativa e chiarimenti dal medesimo trasmessa al Mef il 10 aprile. Oltre alle comunicazioni whatsapp tra lo stesso Galietti e Bonadeo. Nonostante queste informazioni fossero note al cda, nella riunione di lunedì, i consiglieri senza il presidente Palenzona hanno comunque deciso di mettere una pietra sopra e “alla presenza del presidente ad interim Maurizio Irrera e del consigliere Marco Giovannini, e dei quattro consiglieri presenti nella riunione riservata, si procede a una trentina di nomine in società ed associazioni e per diversi ruoli, in cui vengono nominati e autonominatisi i suddetti quattro consiglieri”, come si legge nel decreto di perquisizione.

Il Tesoro, sentiti gli ispettori, annuncerà le sue decisioni a breve. Da vedere se quanto fatto finora verrà ritenuto sufficiente per evitare il commissariamento, tenendo poi presente che il lavoro delle Procure andrà avanti e non è escluso possano emergere ulteriori sorprese. Sul piatto del cda di ieri, inoltre, si è toccato il tema della buonuscita di Varese, peraltro con lui tornato a partecipare alle sedure del cda: le stime circolate in questi giorni la quantificano tra gli 1,3 e gli 1,7 milioni di euro.